Come spalancare le porte alla privatizzazione della sanità

L’ACCORDO GENERALE SUL COMMERCIO IN SERVIZI (GATS)

Angelo Stefanini
Dipartimento di Medicina e Sanità Pubblica Università degli Studi di Bologna

I servizi in una comunità possiedono una importanza fondamentale non soltanto perché rappresentano strumenti essenziali alla produzione di beni e di altri servizi, ma anche in quanto soddisfano bisogni umani elementari e immediati, come istruzione, assistenza sanitaria, energia elettrica, acqua, gas combustibile e telecomunicazioni. La qualità della vita e la salute dipendono largamente dall’accesso a questi servizi e non é possibile concepire che in un paese sviluppato tale accesso non venga garantito all’intera popolazione.

Il mandato della Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO – World Trade Organisation) é di promuovere ed espandere il libero commercio. Il suo interesse nei servizi proviene direttamente dal suo bisogno di generare maggiori profitti per i mercati internazionali e non é quindi collegato alla erogazione dei servizi di per sé. Come tale la WTO vede i monopoli del settore pubblico presenti in molti paesi europei come barriere alla espansione del commercio nei servizi. Il concetto di servizi, tuttavia, comprende attività assai diverse che non possono essere ricomprese in modo uniforme in qualsiasi accordo commerciale. La cosa si complica ulteriormente se si considera che attività come i servizi pubblici rappresentano sia inputs (per l’industria e per altri servizi) che outputs/prodotti (per i consumatori).

Il GATS – General Agreement on Trade and Services
Il GATS é uno dei 28 accordi sul libero commercio promossi dalla WTO. Nonostante il fallito tentativo di lanciare un nuovo ciclo di negoziati alla Conferenza Ministeriale della WTO nel novembre 1999 a Seattle, il GATS fa parte integrante (built-in) della agenda concordata nel 1994 al momento della nascita della WTO. Ciò significa che, come avviene già per l’accordo sulla Agricoltura, anche nel caso del GATS la WTO ha assunto l’impegno formale a portare avanti ulteriori negoziati. Il ciclo di trattative chiamato GATS 2000 ha preso il via nel febbraio del 2000.

A seguito di questi negoziati, il campo di azione del GATS é destinato necessariamente ad espandersi. Il GATS é unico nel suo genere, rispetto agli altri accordi WTO, in quanto dà il mandato ai membri della WTO di ripresentarsi al tavolo dei negoziati a scadenza periodica e regolare e a espandere i propri impegni relativi al GATS. Secondo questo Accordo, i membri della WTO sono obbligati a “liberalizzare progressivamente” il loro settore dei servizi. A questo riguardo, come riconosce la stessa WTO, il GATS va al di là degli altri accordi WTO. Come gli altri accordi WTO, tuttavia, il GATS é vincolante. La WTO rappresenta l’unico organo internazionale con il potere di imporre il rispetto delle politiche di liberalizzazione che esso promuove, cosa che assicura attraverso le deliberazioni delle sue commissioni per la risoluzione delle dispute (DSB – Dispute Settlement Body). Le sentenze della WTO sono vincolanti per gli stati membri e le DSB possono autorizzare l’imposizione di sanzioni commerciali nei confronti dei membri giudicati di avere contravvenuto agli accordi WTO.

Il GATS copre un totale di 160 settori di servizi che vanno dalla costruzione di strade alla erogazione dell’acqua, istruzione, sanità, telecomunicazioni, turismo e assicurazioni. Il suo principale obiettivo é duplice: da una parte, aprire al mercato quei settori che ancora sono chiusi e, dall’altra, rimuovere le barriere alla espansione del commercio in quelli già aperti. Come per altri Accordi WTO, i principali beneficiari di questo processo di liberalizzazione sono le industrie multinazionali e non desta sorpresa apprendere che sono state proprio loro che a premere con più forza per la nascita del GATS. Come lo stesso David Hartridge, Direttore della Divisione dei Servizi della WTO, ha ammesso: “Senza l’enorme pressione generata dal settore dei servizi finanziari americani, in particolare l’American Express e Citicorp, non si sarebbe arrivati ad un accordo sui servizi.”

Modalità di erogazione dei servizi
Il GATS identifica quattro diversi “modi di fornitura” nel commercio dei servizi:

· Movimento del fornitore (“Movement of natural persons”): il singolo fornitore (persone individuali, come medici, infermieri o ingegneri) si sposta all’estero per offrire un servizio.

· Movimento del consumatore o consumo all’estero (“Consumption abroad”): il consumatore si sposta nel paese dove il servizio viene offerto. Per esempio il paziente che va a farsi operare all’estero.

· Commercio cross-border (“Cross-border supply”): le persone non si spostano fisicamente, ma é il servizio stesso che attraversa le frontiere da un paese a un altro. Per esempio, i servizi di telemedicina, le chiamate telefoniche internazionali, i trasferimenti bancari internazionali.

· Presenza commerciale(“Commercial presence”): il fornitore di servizi si stabilisce in un altro paese, tramite sedi staccate o succursali. Per esempio, una multinazionale che acquista o costruisce un ospedale in un paese terzo, una compagnia di assicurazione straniera che crea una filiale locale.

Quest’ultima modalità é la più controversa in quanto effettivamente fissa regole internazionali sull’investimento straniero e richiama fortemente alcuni degli elementi del famigerato MAI (Multilateral Agreement on Investement) seppellito da una valanga di proteste internazionali nell’ottobre 1998. In effetti la WTO aveva iniziato a pubblicizzare il GATS proprio come il primo MAI al mondo. Cosa che ora ovviamente si guarda bene dal fare.

All’interno del GATS ai governi é richiesto di rimuovere le regolamentazioni sui servizi che siano considerate ostacoli al commercio. Come afferma la WTO, le richieste del GATS “influenzeranno necessariamente fin dall’inizio le leggi e le regolamentazioni nazionali interne.”[1] Nonostante la WTO sostenga il contrario, la Commissione Europea ammette che questa pressione a liberalizzare settori chiave dei servizi é un semplice “fact of life”. Le trattative GATS stanno attualmente arrivando a questa fase di “domanda e offerta” quando gli stati membri sottopongono proposte di settori da aprire a ulteriore liberalizzazione. Diversi paesi hanno già cominciato a sottoporre le loro richieste.

Liberalizzazione e privatizzazione
E’ diventato sempre più evidente che la liberalizzazione del commercio a livello internazionale significa ridistribuzione di potere, i cui principali beneficiari sono le imprese multinazionali. Nel settore dei servizi, questo spostamento di potere é stato accompagnato dalla appropriazione del controllo delle politiche pubbliche da parte di una tecnocrazia internazionale che propone le forze del mercato quali i migliori servitori dell’interesse pubblico, mentre i dipendenti pubblici non sarebbero degni di fiducia. Questa tendenza ha portato a un cambiamento del modello di erogazione dei servizi pubblici, anche quando tali servizi sono rimasti di proprietà pubblica. In questo modo le relazioni esistenti sia tra servizi pubblici e i loro utenti, sia tra servizi pubblici e i lavoratori che li producono, sono entrate nell’ambito del mercato. La trasformazione dei servizi pubblici in beni di mercato apre la strada ad un monopolio nella loro produzione senza tuttavia prospettare molti vantaggi in contropartita per la popolazione.

Praticamente tutti i governi del mondo stanno de-regolamentando o privatizzando il finanziamento o/e la produzione o erogazione dei servizi pubblici, o di loro iniziativa o, in particolare nei paesi poveri, sotto la spinta dei cosiddetti programmi di aggiustamento strutturale imposti dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale.[2] A volte i governi hanno semplicemente svenduto entità pubbliche da loro controllate. In molti casi essi stanno trasformando i servizi pubblici, soprattutto quelli che troverebbero maggiore opposizione popolare alla privatizzazione, esteriorizzandone alcuni aspetti a imprese private e appaltandoli al migliore offerente. In altri casi le infrastrutture vengono tenute separate dalla erogazione dei servizi e quindi privatizzate con meccanismi di compartecipazione tra capitale pubblico e privato (Public Private Partnerships) che mantengono in apparenza una solida configurazione pubblica e quindi sono più politicamente accettabili. Alcuni governi, come quello britannico, e in Italia la Regione Lombardia, hanno introdotto un cosiddetto “mercato interno” alla sanità attraverso la separazione strutturale tra finanziatore (il governo) e produttori (ospedali e assistenza sul territorio) consentendo a questi ultimi di entrare in concorrenza l’uno con gli altri. Infine, con una modalità di privatizzazione ancora più subdola, si é cercato di infondere nel servizio pubblico l’approccio manageriale del privato fatto di metodi e principi orientati al mercato. Come sostiene l’organizzazione Public Services International, l’introduzione della contabilità manageriale (business accounting) nella sanità “…rappresenta un cambiamento altrettanto significativo quanto una vera e propria privatizzazione”.[3]

Servizi pubblici e privati
Nonostante il GATS riguardi tutti i servizi, molti ritengono che i servizi pubblici facciano eccezione. Nel testo del GATS i servizi pubblici vengono definiti come servizi “forniti nell’esercizio della autorità governativa.”(Art. I.3b). Tuttavia il GATS definisce servizi governativi “qualsiasi servizio che non venga fornito su base commerciale o in concorrenza con uno o più fornitori di servizi.”(Art. I.3c). Potrebbe quindi risultare alquanto difficoltoso identificarne altri che non siano la difesa, la banca centrale o il sistema giudiziario.

Se quindi un governo esternalizza una qualsiasi componente dei suoi servizi pubblici, come la lavanderia o il catering, o se imprese private (siano esse non profit o for profit) producono servizi forniti anche dal governo (come nel caso delle scuole private o in quello di un finanziamento misto pubblico-privato), quegli stessi servizi potrebbero essere giudicati dall’organo di risoluzione delle dispute della WTO come non di tipo governativo pubblico e quindi soggetti a, e non esenti da, l’accordo GATS, cioè soggetti alla concorrenza di operatori stranieri. In Canada, paese che possiede un servizio sanitario pubblico, una coalizione di ospedali privati statunitensi ha asserito che il ticket imposto dal sistema sanitario canadese deve essere equiparabile ad una transazione commerciale e che, di conseguenza, impedire alle imprese statunitensi di entrare nel mercato canadese equivale, secondo il trattato NAFTA (North American Free Trade Agreement), a privarle del diritto di beneficiare di quel mercato.

A favore della privatizzazione si sostiene in genere che essa porti a maggiore concorrenza, più capitali privati, minori spese pubbliche, una più agile burocrazia, più flessibilità, maggiori opportunità per i lavoratori e una amministrazione più moderna. Ciò che però spesso succede nella pratica é che vengono creati cartelli monopolistici che alimentano la corruzione. Molti aspetti della salute pubblica (come la qualità dell’aria, la sicurezza dell’acqua e degli alimenti, lo smaltimento dei rifiuti, ecc.) sono da tempo minacciati dalle privatizzazioni; ora potrebbero essere smantellati per sempre. Non é soltanto la tensione esistente tra l’espansione del commercio e la sovranità nazionale che oggi preoccupa, quanto la incompatibilità, a volte profonda, che esiste tra le finalità del mercato in genere, favorite dalle privatizzazioni, e l’interesse pubblico. Appare sempre più chiaro come gli obiettivi di espansione del commercio possano spesso mettere in secondo ordine quelli della salute pubblica[4] attraverso incentivi e meccanismi, spesso perversi, che riguardano i rispettivi diritti, le responsabilità e le capacità del settore privato e di quello pubblico.[5]

Al mercato dei servizi sanitari
Da tempo, in alcuni paesi, compresa l’Italia, gli interessi commerciali sono entrati prepotentemente nel settore sanitario, a volte in concorrenza (anche se regolamentata e limitata) con i produttori pubblici di servizi. Questo sistema bipolare già esistente fornisce alla WTO un utile razionale per incoraggiare ulteriore concorrenza e privatizzazione, in particolare attraverso l’accordo GATS. La posta in gioco é enorme: si stima che le spese sanitarie nei paesi OCSE (Organizzazione per la Cooperazione Economica e lo Sviluppo) raggiungano la cifra di 3 milioni di miliardi di dollari all’anno.[6] Tuttavia fino ad oggi il GATS non é ancora riuscito a portare a grandi privatizzazioni nei sistemi sanitari e all’apertura totale alla concorrenza straniera. Per questo, durante le trattative avvenute nel 2000, i negoziatori USA hanno identificato nei servizi uno target speciale su cui puntare.

In un futuro non troppo lontano gli USA potrebbero trascinare l’Italia di fronte all’Organo per la Risoluzione delle Dispute della WTO nel caso in cui, per esempio, il governo italiano (o un governo regionale o locale) si rifiutasse di concedere a una multinazionale statunitense il permesso di acquistare un ospedale pubblico (o altra struttura sanitaria) del servizio sanitario nazionale costruito almeno in parte con capitale privato (per esempio, come avviene nel cosiddetto Project Financing). Un’altra situazione in cui il GATS potrebbe facilitare la privatizzazione e la concorrenza in sanità si potrebbe verificare allorché alcuni dei meccanismi e dei principi che stanno alla base della organizzazione, finanziamento ed erogazione dei servizi sanitari pubblici venissero in qualche modo abbandonati. La “condivisione universale del rischio”, per esempio, nonostante rappresenti uno dei fondamenti di un servizio sanitario pubblico, potrebbe essere messo a repentaglio in quanto non “pro-competitivo”, ossia non favorente la concorrenza. “Condivisione universale del rischio” significa che tutti i diversi rischi a cui sono esposti i singoli individui in ambito sanitario, ossia di avere prima o poi bisogno di cure mediche, sono distribuiti sulla intera società. Alcune persone sono sane per la maggior parte della propria vita e hanno raramente bisogno di assistenza sanitaria, mentre altri sono cronicamente ammalati e quindi ne hanno maggiore necessità. In un sistema universalistico come il nostro, l’accesso e il diritto ai servizi sanitari sono basati sul bisogno e non dalla sua capacità di pagare.

Un altro principio molto noto e a sua volta minacciato è quello della “sovvenzione incrociata o reciproca”. Secondo questo principio, le aree e i servizi meno costosi sovvenzionano quelli più costosi. In molti paesi, servizi molto redditizi come le chiamate telefoniche internazionali hanno sovvenzionato quelli meno remunerativi ma socialmente vantaggiosi in aree rurali. Nei trasporti, i costi delle linee di autobus e di ferrovie che raggiungono aree disagiate vengono compensati dalle linee molto trafficate e più congestionate e quindi più redditizie. In un sistema sanitario pubblico, il costo molto alto dei reparti di emergenza e delle terapie intensive viene almeno in parte recuperato grazie alle entrate che servizi “elettivi” e routinari, come semplici interventi chirurgici in regime di prenotazione o che godono di economia di scala, consentono. Non é un caso che le case di cura e gli ospedali privati non forniscano quella tipologia di prestazioni altamente specializzate e costose.

La condivisione del rischio e le sovvenzioni incrociate tra ricchi e poveri, sani e malati, fanno sì che tutti abbiano un sufficiente accesso a livelli analoghi di assistenza in quanto il fondamento di un servizio pubblico tende alla ridistribuzione. L’eliminazione della sovvenzione incrociata rappresenta un passo essenziale verso la privatizzazione dei servizi. Ciò permette alle industrie di frammentare i servizi sanitari integrati, appropriarsi di quelli più redditizi (assieme ai pazienti più remunerativi, cioè quelli che hanno meno bisogni di assistenza sanitaria) e abbandonare a se stesso il servizio pubblico così menomato. Questa tendenza alla frammentazione conduce inesorabilmente a un sistema sanitario come quello degli USA, ormai dominato dalle organizzazioni a scopo di lucro e la cui vergognosa iniquità (45 milioni di persone prive di qualsiasi accesso a servizi sanitari) é ormai ben descritta nella letteratura.[7] Una progressiva e sempre più massiccia privatizzazione della sanità metterebbe inoltre in serio pericolo anche i meccanismi di contenimento dei costi del servizio pubblico in quanto appunto il privato si concentrerebbe sui servizi più fruttuosi lasciando al sistema pubblico quelli più costosi e “in perdita”.

Una forma ancora più subdola di smantellamento del sistema pubblico si riscontra nelle situazioni in cui ospedali o produttori di servizi pubblici e non for profit, costretti a competere con quelli privati for profit per ottenere finanziamenti (provengano questi dallo stato sotto forma di quota capitaria o da assicurazioni private), riescono ad assicurarsi sempre meno fondi. La concorrenza, come si é visto, porta anche a contendersi i pazienti; nel qual caso il privato tende a rastrellare i più sani e i più ricchi, mentre i più vulnerabili (e più costosi) finiscono nel pubblico. Il risultato inevitabile é la perdita dei servizi preventivi: il sistema pubblico ha sempre meno risorse per questo tipo di servizi che, in quanto non generano una domanda, non attraggono affatto al privato. Quest’ultimo, é bene ricordarlo, non é interessato a fornire una assistenza sanitaria alla società, ma semplicemente prestazioni sanitarie o procedure chirurgiche a chi può permettersi di pagare. Come ha detto Whitfield,[8] “L’ultimo passo verso la intera privatizzazione del sistema sanitario si ha allorché nonostante siano i contribuenti a finanziare la erogazione dei servizi, é il settore privato che possiede e gestisce le infrastrutture e fornisce i servizi.”. Esattamente il sistema da cui qualcuno sembra affascinato.

Il presente articolo è stato pubblicato su “Servizi sanitari: affari in vista con in GATS?” rivista pediatrica Quaderni acp,
luglio-agosto 2002, pp. 32-35.

[1] WTO Secretariat (1999), An Introduction to the GATS. Geneva, WTO.

[2] Stefanini A. (1997), Salute e Mercato. Una prospettiva dal Sud al Nord del pianeta. Bologna, EMI.

[3] Hall D. (2001) Globalisation, privatisation and health care: a preliminary report. London, Public Service International Research Unit.

[4] Pollock AM, Price D. (2000), Rewriting the regulations: How the World Trade Organisation could accelerate privatisation in health care systems? The Lancet 356: 1995-2000.

[5] Koivusalo M. (1999), World Trade Organisation and trade-creep in health and social policies. Helsinki, STAKES, GASPP Occasional Paper 4.

[6] WTO Secretariat (1998), Health and Social Services. Geneva, Background note by the Secretariat S/C/W/50.

[7] Maciocco G. (1999), La Sanità Americana. Prospettive Sociali e Sanitarie 17/18: 1-32.

[8] Whitfield D.(2001), Public services or corporate welfare? Rethinking the nation state in the global economy. London, Pluto Press.