Health in Africa Un numero speciale del BMJ

Dobbiamo essere grati all’editoria medico-scientifica britannica per l’attenzione che dedica ai temi della salute e della sanità nei paesi più poveri. Lancet e British Medical Journal (BMJ), in particolare, riservano sempre più spesso editoriali, commenti, informazioni e papers alle diseguaglianze nella salute nel mondo e ai loro determinanti, mantenendo ben accesi i riflettori su questioni che altrimenti rischierebbero di essere totalmente rimosse dallo scenario informativo internazionale.

Gavino Maciocco

Il n. 7519 (1 ottobre 2005) del BMJ è interamente dedicato alla “Salute in Africa”. Un numero che è il frutto di un “call for papers” che ha raccolto più di 300 articoli originali, ma che non ha registrato – affermano delusi i promotori – la diffusione geografica e linguistica auspicata: i contributi sono arrivati soprattutto da Sudafrica e Nigeria (con la collaborazione di scuole di sanità pubblica britanniche e americane) e da pochi altri paesi come Ghana, Guinea-Bissau, Zambia e Zimbabwe: dalla maggioranza dei paesi africani non è giunto alcun contributo. Ed è questo uno dei grandi problemi sul tappeto: “Addressing inequalities in research capacity in Africa”, affrontare le diseguaglianze nella capacità di ricerca in Africa. Perchè senza di ciò è difficile attaccare le disuguaglianze nella salute in questo continente.

I contenuti del fascicolo spaziano dai temi di epidemiologia clinica e sanità pubblica a quelli di politica ed economia sanitaria. Di seguito una sintesi dei principali argomenti trattati.

HIV/AIDS.

Una ricerca sulla quantità e sulla distribuzione geografica degli studi randomizzati e controllati in Africa sull’HIV/AIDS conclude che il numero di essi è molto piccolo e certamente non commisurato al carico di malattia che grava sul continente. Su 77 trial effettuati tra il 1987 e il 2003 solo 19 avevano la principale istituzione di ricerca localizzata in Africa; 42 riguardavano la prevenzione e 35 il trattamento; 19 non disponevano dell’approvazione di un comitato etico e 17 del consenso informato dei pazienti. I trial sono stati condotti solo in 18 dei 48 paesi dell’Africa sub-Sahariana.

Le donne e soprattutto le ragazze sono le principali vittime dell’epidemia di HIV/AIDS: il 57% degli adulti con HIV sono donne, le ragazze di età 15-24 anni hanno una probabilità tre volte maggiore rispetto ai coetanei maschi di infettarsi. I messaggi sulla prevenzione basati sull’acronimo ABC (Abstinence, Be faithful, use Condom) hanno poco senso per la gran parte delle donne africane, il cui status e la cui autonomia finanziaria sono così bassi e la dipendenza dall’uomo così forte da rendere l’astinenza dal sesso o la negoziazione sull’uso del condom opzioni semplicemente non realistiche.

“Gli USA sono accusati di mettere in pericolo la prevenzione HIV in Uganda”. L’accusa viene dall’inviato delle Nazioni Unite, Stephen Lewis, secondo il quale il governo ugandese si muove sotto l’influenza della destra religiosa americana, contigua al presidente Bush, che finanzia campagne multimiliardarie per promuovere solo l’astinenza (“Abstinence only”). Ciò sta avendo l’effetto di indebolire la strategia complessiva ABC, anche col boicottaggio della distribuzione dei condom. Il governo ugandese respinge la accuse, tuttavia una recente normativa proibisce di distribuire condom nelle scuole superiori durante le lezioni di informazione su HIV/AIDS, dove centinaia di giovani adulti, molti dei quali sessualmente attivi, potrebbero essere raggiunti. Nel contempo enormi manifesti che promuovono solo l’astinenza sono diffusi in tutto il paese e la moglie del presidente, cristiana evangelica, è a capo di una campagna per censire tutte le vergini.

In tutta questa vicenda l’aspetto più grave è la crescita delle nuove infezioni: il risultato di una recente survey del Ministero della sanità indica che il tasso è salito al 7% per gli uomini e al 9% per le donne, rispetto al 4,1 del 2003.

Diseguaglianze di genere e salute materna

Le relazioni tra diseguaglianze di genere e mortalità e morbilità materna sono molte e spesso non riconosciute. La bassa priorità accordata al benessere delle ragazze e delle donne nel corso delle loro vita provoca una nutrizione scarsa e una scarsa salute che aumenta i rischi durante la gravidanza e il parto. La mancanza di controllo da parte delle donne delle loro capacità riproduttive e l’esposizione alla violenza accrescono ulteriormente questi rischi a causa di gravidanze precoci, multiple e non volute. L’editoriale dedicato a questo tema così conclude: “C’è un urgente bisogno di affrontare in maniera complessiva questi temi per ottenere una vera eguaglianza di genere e l’empowerment delle donne, inclusa la garanzia dei diritti delle donne alla proprietà e all’eredità, la riduzione delle discriminazioni nel mercato del lavoro, l’incremento della rappresentanza femminile nelle istituzioni politiche e la fine della violenza contro le donne”.

La prevenzione dell’emorragia post-partum. Oltre 150.000 donne muoiono ogni anno per emorragie post-partum; il 99% di questi decessi avvengono nei paesi più poveri. L’uso routinario del misoprostol (un analogo della prostaglandina E1) per via sublinguale riduce l’incidenza delle gravi emorragie postpartum. Il misoprostol è risultato meno efficace dell’ossitocina per via endovenosa o intramuscolare in uno studio dell’OMS, tuttavia quest’ultimo farmaco richiede la conservazione in frigorifero e la somministrazione da parte di personale qualificato, mentre il primo è resistente al caldo e può essere somministrato per via orale. Per questo motivo – in analogia con quanto già avviene in Indonesia – sarebbe opportuno che il misoprostol sia consegnato alle donne durante le visite prenatali e che lo ostetriche siano addestrate alla loro utilizzazione.

Il trattamento dell’eclampsia: il farmaco scomparso. Oltre 63.000 donne muoiono ogni anno a seguito di convulsioni eclamptiche; il 99% di questi decessi avvengono nei paesi più poveri. Un farmaco efficace per prevenire e trattare l’eclampsia è il magnesio solfato, la cui caratteristica è quella di essere incluso nella lista dei farmaci essenziali dell’OMS e di essere particolarmente economico (O,29 € a fiala); ma il farmaco è scomparso dalla circolazione in molti paesi africani come Mozambico e Zimbabwe. La conclusione del paper è che le forze del mercato non sono interessate a distribuire farmaci a basso costo e che quindi devono essere i governi e le agenzie internazionali a garantirne la disponibilità.

Malaria
A questo tema sono dedicati un editoriale e due paper. In Africa la malaria rimane una delle più comuni cause di morte, specialmente per i bambini e le donne incinte e lo scenario è aggravato dalla rapida diffusione della clorochino resistenza. Sebbene le più recenti linee guida indichino nelle combinazioni a base di artemisinina (ACT, Artemisnin Combination Therapy) la formula più efficace per combattere la malattia, in Africa la maggior parte dei casi non vengono trattati con i nuovi farmaci, e quindi in troppi casi la terapia fallisce. Il principale ostacolo all’introduzione dell’ACT è il costo. Il costo di un trattamento con ACT è di oltre 1 dollaro, dieci volte maggiore della terapia tradizionale. In gran parte del continente africano le persone contraggono la malaria più volte in un anno e il costo diventa proibitivo sia per le famiglie che per i governi. “L’ACT ha la potenzialità – conclude l’editoriale – diventare uno dei più importanti interventi di sanità pubblica per l’Africa in questo decennio. Noi dobbiamo ottenerlo.”

Tubercolosi
In Africa anche l’aggiornamento del personale è un problema, perchè ciò comporta il distacco degli operatori dal luogo di lavoro e spesso la sospensione di un servizio. Per questo motivo in Sudafrica hanno sperimentato una forma di training sul campo (educational outreach), che non comporta distacco degli operatori e sospensione del servizio, applicata alla tubercolosi e alle malattie respiratorie e rivolta agli infermieri. L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che solo un terzo delle persone affette da tubercolosi sia riconosciuto tale e abbia quindi l’opportunità di ricevere una terapia appropriata. Migliorare la diagnosi della malattia è quindi fondamentale per controllare l’epidemia e dipende in larga parte dalla capacità dei servizi di base intercettare e riconoscere i casi. Lo studio ha dimostrato che un adeguato aggiornamento sul campo del personale infermieristico ha nettamente migliorato la capacità di “case detection” della tubercolosi da parte dei servizi di cure primarie.

Malattie cardiovascolari

Negli ultimi decenni l’Africa è stata testimone di intensi processi di urbanizzazione e di cambiamenti degli stili di vita che hanno prodotto un crescente aumento dell’incidenza di malattie cronico-degenerative, in particolare delle malattie cardiovascolari. Tra queste l’ipertensione è il fattore di rischio più minaccioso, con tassi di prevalenza che vanno dal 15 al 30% negli adulti. Così i sistemi sanitari africani, gravemente sottofinanziati, devono far fronte non solo alle patologie del sottosviluppo, ma anche a quelle che – erroneamente – vengono considerate le malattie dell’opulenza.

Sicurezza stradale
Anche questo capitolo, come il precedente, è generalmente poco considerato nell’ambito dei problemi sanitari del continente africano. A torto, perchè le vittime degli incidenti stradali sono circa 200.000 all’anno; una stima considerata in difetto, data la sottonotifica di questi eventi. La maggioranza di queste vittime sono i pedoni e i passeggeri dei trasporti pubblici. “I programmi di aiuto allo sviluppo finalizzati alla costruzione di strade – osserva un editoriale – non si curano della sicurezza stradale e sembrano ignorare il fatto che migliaia di persone muoiono e molte di più rimangono invalide usando le strade africane”.

Sanità a pagamento. Le user fees.

Com’è noto la sanità in Africa è a pagamento: in quasi tutti i paesi per potersi curare i pazienti devono pagare, sia nelle strutture pubbliche che in quelle private. Le user fees – le tariffe che i pazienti devono pagare per ricevere le cure – rappresentano sia un ostacolo all’accesso alle strutture sanitarie (una barriera insormontabile per fasce più povere della popolazione), sia un fattore di impoverimento per le famiglie che sono costrette a indebitarsi per poter assicurare le cure a un loro componente. Il numero del BMJ dedica due paper a tale tema.

Il primo riporta le conclusioni di una ricerca, commissionata e finanziata dall’organizzazione britannica Save the Children Fund UK, secondo la quale l’abolizione delle user fees potrebbe avere un effetto immediato ed importante nel ridurre la mortalità dei bambini: secondo tale studio l’abolizione della sanità a pagamento salverebbe approssimativamente 233.000 vite di bambini al di sotto dei 5 anni all’anno in 20 paesi africani.
Il secondo contiene una riflessione di uno dei maggiori esperti su tale tema, Lucy Gilson, professore di politica sanitaria all’università di Johannesburg (Sudafrica). Le user fees sono la forma più regressiva (ovvero più ingiusta) di finanziamento del sistema sanitario, per questo motivo dovrebbero essere eliminate. Esse costituiscono un carico insopportabile imposto ai gruppi più poveri della popolazione e rappresentano uno degli aspetti più odiosi di esclusione sociale. Tuttavia la loro eliminazione non è un esercizio così facile. Prima della loro eliminazione è necessario che i fondi per l’assistenza sanitaria siano adeguatamente aumentati. Infatti, dato che le user fees riducono l’utilizzazione dei servizi sanitari e creano una grande quantità di bisogni non soddisfatti, la loro rimozione è destinata a determinare un netto aumento dell’utilizzazione dei servizi. Senza risorse disponibili aggiuntive, l’aumento della richiesta di prestazioni provoca inevitabilmente un drastico abbassamento della qualità dei servizi dovuto alla mancanza di farmaci e all’eccessivo carico di lavoro per gli operatori. Secondo L. Gilson tre dovrebbero essere le azioni da intraprendere per affrontare con successo la questione: a) Aumentare le risorse locali per la sanità: già la Dichiarazione di Abuja del 2001 impegnava i capi di stato africani a destinare almeno il 15% del bilancio statale al settore sanitario pubblico (ma purtroppo – secondo le statistiche dell’OMS – nessun paese africano ha finora raggiunto tale livello); b) I fondi dei donatori dovrebbero aumentare e essere indirizzati verso i paesi più poveri; c) I sistemi sanitari potrebbero essere più adeguatamente finanziati se cambiassero le regole del commercio mondiale e fosse consentito ai paesi africani di esportare liberamente i propri prodotti agricoli.

Rafforzare i sistemi sanitari.

Due paper, contenuti nella sezione “Education and debate”, affrontano il tema generale dei sistemi sanitari africani, le loro terribili carenze e le possibili ricette di miglioramento.

Il primo – Confronting Africa’s health crisis: more of the same will not be enough – individua due problemi chiave: 1) il primo è quello delle risorse umane: “E’ imperativo aumentare rapidamente il numero degli operatori sanitari e migliorare la qualità del loro lavoro”. Vanno messe in atto politiche per impedire la migrazione di medici e infermieri, introducendo incentivi finanziari e non, come la formazione, il supporto e la supervisione; 2) il secondo è il rafforzamento dei sistemi sanitari, soprattutto a livello di base. Conclude l’articolo: “Nel 1978 la comunità internazionale s’impegnò nell’obiettivo “visionario” della primary health care i cui contenuti e valori fondamentali erano l’equità, la partecipazione comunitaria, la promozione della salute, l’approccio intersettoriale, l’efficacia e l’accessibilità. Questo impegno resta attuale per i moderni sistemi sanitari africani. In verità le sfide poste oggi, ed in particolare quella dell’HIV/AIDS, lo rendono ancora più rilevante. Le fondamentali soluzioni dei problemi sanitari dell’Africa si trovano nella stessa popolazione africana. Il principale compito della comunità internazionale è quello di creare le condizioni che consentano all’Africa di svilupparsi e di rifiorire”.

Il secondo paper s’intitola Health systems financing: putting together the “back office” , dove back office significa infrastrutture – fisiche, manageriali e relazionali -. Senza il rafforzamento delle fondamenta del sistema ogni attività rischia di frammentarsi e sbriciolarsi: è esattamente quello che è avvenuto in questi ultimi decenni dove – a causa dell’estrema debolezza del sistema – molteplici interventi settoriali (vaccinazioni, malaria, tubercolosi, HIV/AIDS) hanno prodotto ben pochi risultati, aggravando semmai la situazione esistente. L’articolo elenca tutti gli elementi del back office che richiederebbero di essere potenziati: le strutture sanitarie e le attrezzature, e la loro manutenzione, il sistema degli acquisti e della distribuzione di farmaci e di altri prodotti sanitari, gli investimenti in risorse umane, i sistemi di finanziamento e di programmazione, i sistemi di controllo, le strategie di comunicazione, il coinvolgimento della comunità e delle organizzazioni della società civile. Conclude l’articolo: “Per migliorare le performance dei sistemi sanitari in Africa, tutti i componenti del back office devono funzionare insieme. Le agenzie di cooperazione e diversi governi africani hanno trascurato gli investimenti nei sistemi sanitari. I fondi sono generalmente indirizzati verso specifiche malattie, ignorando le infrastrutture del sistema. Con il rinnovato interesse della comunità internazionale nei confronti dello sviluppo dell’Africa e della lotta alla povertà – anche attraverso una maggiore disponibilità di fondi per la lotta contro l’AIDS – più consistenti risorse dovrebbero essere indirizzate al rafforzamento del back office”.