La tristezza al tempo dell’Ikea

scritto da Lorenzo Marvelli

La nuova fase economica che viviamo rappresenta il superamento del paradigma focaultiano disciplina-contollo.

Il capitalismo contemporaneo si è trasformato nebulizzandosi e non gioca più tutte le sue carte in fabbrica; la fabbrica è esplosa pervadendo la vita: tutta la vita è messa in produzione.

Al vecchio paradigma se ne sostituisce uno nuovo che non prevede unicamente la produzione e la distribuzione di merci ma la produzione e distribuzione di segni nelle metropoli.

Il linguaggio è la vera ossessione del capitalismo contemporaneo ed alla disciplina-controllo del secolo scorso si sostituisce il paradigma consumo-assoggettamento del secolo nuovo. All’uomo debole del ‘900, segue l’uomo che acquista del secolo attuale.

Tutti gli spazi della vita messi in produzione (la casa, il lavoro, il supermercato, i media, il tempo libero, la scuola…) si fanno così occasione di dominio e di profitto.

Eppure.

La questione centrale è la seduzione.

Il vecchio capitalismo produttivo esercitava la sua forza allo scopo di disciplinare tutte le forme viventi producendo però, di rimando, resistenze disseminate (case del popolo, consigli di fabbrica, forme varie di aggregazione sociale…);  possiamo dire che ad un potere poteva opporsi di volta in volta un contro-potere.

Le forme attuali di dominio hanno smesso di esercitare la forza e si sono fatte seduttive: i nuovi schiavi perdono la capacità di resistere e cedono alla finzione del capitale, se ne convincono. I nuovi schiavi sono purtroppo felici di esserlo e sono incapaci di pensare l’utopia. Nelle metropoli attuali dobbiamo temere più un manipolo di esperti di marketing al servizio dei poteri economici che non un esercito di incursori in assetto di guerra ed è più pericoloso il direttore dell’Ikea che un figlio di puttana con la pistola in pugno.

Le tristezze che paralizzano il desiderio in quegli individui che riescono a conservare un pensiero libero dal surplus di false informazioni che promettono una felicità proporzionale alla capacità di consumo, hanno necessità d’essere messe in collegamento tra loro.

La connessione di tutti i sensi di sconfitta non è solo ciò che resta ma è anche un possibile punto di partenza: è impensabile aggregarsi intorno ad un sentimento di gioia che non esiste più poiché sono solo la condivisione del dolore, la connessione di sofferenze, la com-passione che possono funzionare da innesco d’un probabile rovesciamento.

Chi non crede ad un Babbo Natale che distribuisce buoni sconto per le vie del centro, chi pensa che sia la vita stessa a poter rendere felici e non la vincita di una lotteria, chi non cede all’idea che tempo libero e spesa al supermercato siano la stessa cosa, tutti questi individui possono agganciare il proprio malessere rendendolo un punto di forza comune.

Non è più possibile insomma partire da un entusiasmo condiviso per rovesciare un sistema ma, al contrario, è proprio il dolore a dover diventare principio di moto comune.

Immagino piccoli eserciti di uomini e donne addolorate, muoversi all’assalto di luoghi ove si predica  la felicità del consumo. Immagino un procedere lento e disarmato, senza nulla in mano, senza nulla in testa se non lo sconforto, se non la piena coscienza d’una sconfitta.

L’utopia di quest’attacco non può essere la presa della Bastiglia ma la riconquista dell’immaginario, della capacità di pensare qualcosa di diverso da una passeggiata per i negozi del centro a fare shopping.

E’ così poco…

Quasi nulla.

Ma è quello che ora possiamo. L’unico possibile.

L’alternativa sarebbe cedere ad una felicità che è solo di quegli schiavi ai quali vengono tolte le catene ai piedi e che credono di camminare liberi, ignari di poterlo fare solo in una gabbia murata con la musica assordante e le luci intermittenti.