“MANI SUL MIO CORPO” Diario di una malata di cancro di Luciana Coèn

Presentazione di Sebastiano Castellano*

A nessuno è mai capitato, come ad un celebre personaggio di Kafka, di trovarsi al risveglio mattutino, improvvisamente mutato in un enorme insetto. Ma non è affatto raro nel corso della vita accorgersi, all’improvviso, come per un brutto risveglio, che qualcosa è mutato all’interno del proprio organismo e che la metamorfosi è diventata talmente importante da coinvolgere l’intera esistenza. Anzi da mettere in dubbio la possibilità stessa che l’esistenza abbia un seguito.

Di fronte a questa nuova realtà ci sono modi diversi di reagire. Quanti sono le donne e gli uomini tante sono le strategie di risposta con la loro miscela di razionalità e di emotività, di metodo e di caso.

Luciana Coén, nella sua strategia inserisce la scrittura. Come altri hanno fatto, ognuno rivisitando in modo personale l’antica arte della confessione, anche lei prende in mano la penna.

Un giorno dopo l’altro mette per iscritto molti interrogativi e qualche azzardo di risposta. Ragionamenti, fatti e incontri. La sua storia così come va avanti, impegnativa da vivere e da narrare e, narrata, più intensamente vissuta.

Scrive per sé, un giorno dopo l’altro, in solitudine. Mi godo questi momenti da sola, nei quali non ho da pensare a nessuno, solo a me … Dice anche: mi sto rannicchiando dentro me stessa, sto ricercando il mio calore. Per me stessa e non per darlo a nessun altro.

Ma paradossalmente la scrittura, che dalla solitudine nasce, nella solitudine ricrea il mondo. E Luciana, nel suo rimettere in ordine sensazioni e riorganizzare progetti, ricostruisce i luoghi, rivisita il tempo e riporta in scena personaggi e comparse della sua storia.

Qualcosa mettendo in chiaro e qualcosa lasciando velato, dà risposta ad alcuni interrogativi, altri rimanda al loro tempo.

Per sé. Per consolarsi e per irrobustirsi. Per non consegnare alla malattia un essere impotente. Per prendersi cura e collaborare al processo di cura.

Intanto lo sguardo sensibilizzato dalla malattia osserva criticamente il mondo intorno, anche quello delle diagnosi e delle cure. Osserva la competenza, la responsabilità, la tecnologia e insieme gli errori, le insensibilità, le indifferenze. Cose di cui da tempo si parla, ma che, in concreto, si continua a non vedere o a non voler vedere o a non saper modificare.

Non più solo per sé, allora. Una dopo l’altra le pagine diventano messaggi per chiunque abbia sensibilità per intercettarli e volontà per meditarli.

Per chi è interessato a comprendere e non ha paura di scoprire che la malattia può entrare nella vita di ognuno e che la rende più fragile, ma anche più consapevole. Che non tutto è perduto inesorabilmente, ma che c’è ancora da fare, da resistere, da offrire. Da vivere, insomma.

Per chi è impegnato nelle cure. Donne e uomini simili in tutto alle donne ed agli uomini che già si sono ammalati. Simili anche nel timore della malattia. Capaci di sensibilità e di delicatezza, sono consapevoli che chi è in attesa di una visita non è un numero in una lista e che sono le persone, non i tessuti ad aver bisogno di cura. E, tuttavia, misteriosamente, incomprensibilmente, trattano a volte le persone come numeri o come portatori inerti di organi ammalati, si mostrano insensibili ed indifferenti, fanno del male.

La testimonianza, intensa e discreta, di Luciana Coén è un invito a riflettere anche su questa contraddizione e su come, interiormente, spezzarla.

* medico, è stato Direttore Sanitario dell’Ospedale di Mondovì e di Ceva. Ha pubblicato “Ascolta, segni, sintomi, racconti, risposte, domande e altre voci” presso Omega Edizioni, 2003.