Diversi ma uniti si vince

Le giornate della contestazione a Cancun, la prima battuta d’arresto del WTO, il tragico sacrificio di Lee contro le ingiustizie dei potenti attraverso il racconto di un’infermiera che le ha vissute in prima persona. A Cancun David ha vinto su Golia

di Lucia Mielli

Di ritorno da Cancun, piano piano sistematizzo i ricordi e le impressioni vissute in quelle magnifiche e tragiche giornate. Esiste un mondo nel mondo, fatto di donne e uomini, diversissimi tra loro, per formazione e vissuto, lingua e culture, che sente, sogna e lotta per gli stessi obiettivi, per ottenere gli stessi risultati. A volte, lavorando ognuno di noi nei nostri territori, si ha la sensazione di essere isolati e il nostro agire inutile. Condividere insieme le giornate a Cancun è stato ripristinare una verità oggettiva: esiste veramente un mondo nel mondo, e noi ne facciamo parte, profondamente.
La giornata del 10 settembre si è aperta alla Casa della Cultura con un’esplosione di colori, i colori delle contadine e contadini Maya, arrivati a Cancun da lontano con grande sacrificio, anche economico, con autobus vecchissimi. Molte donne e uomini segnati fisicamente da una vita difficile, fieri, orgogliosi, con una grande dignità. Splendida gente che ha riempito la sala di striscioni con rivendicazioni e raffigurazioni di Zapata e Che Guevara. Una realtà viva e palpitante che strideva nettamente con il contesto della città: Cancun è un luogo orribile, venticinque chilometri di striscia di terra che delimita una laguna dal mare, pieno di grattaceli-alberghi degni solo di Holliwood, fast-food, insegne luminose, spettacoli per i turisti. Cancun come simbolo delle contraddizioni mondiali: un posto finto, di plastica, che vende illusioni senza senso, costruito a tavolino negli anni ’70, inserito in un contesto molto povero. La gente alla Casa della Cultura, quella mattina e i giorni successivi, si è riappropriata di un luogo delirante, transennato e inospitale. Dal palco si sono succeduti interventi di vari rappresentanti di Via Campesina nel mondo, tra questi i coreani che, con una nutrita delegazione, erano venuti in 300 da così lontano, ci hanno raccontato in che situazione miserevole sono costretti a vivere a causa delle politiche neoliberiste imposte dal WTO. Ci si stava intanto preparando per la manifestazione. Obiettivo dichiarato: lo sfondamento della zona rossa. Sarebbe stato il primo contatto con le forze di polizia ed esercito messicane e ne si attendeva la reazione.

Il corteo si è mosso, coloratissimo e festoso sotto un caldo massacrante. I coreani avevano preparato una bara di carta colorata che portavano in spalla a simboleggiare la morte del WTO. Un grande Dio azteco dell’acqua, portato su ruote dai ragazzi messicani, chiedeva che non venisse privatizzata. E poi lo spezzone delle lesbiche e gay, delle donne, tante, degli indigeni, e striscioni, e rappresentazioni dei contadini messicani che offrivano i loro tesori, mais, semi, terra, fiori, legumi, e musica, tamburi, ritmi coinvolgenti. Tutti insieme, tutti mescolati, indigeni, europei, americani, asiatici. Arrivati alle transenne rosse, i giovani, i contadini, i coreani iniziano a demolirla con grande determinazione. Abbattere le zone rosse, ovunque siano, è giusto, necessario, indispensabile. Si sentono dei colpi, lì per lì sembrano spari e ci si allarma molto. Pochissimi minuti dopo urlano dalla calca che c’è necessità di un medico.

Lì vicino dove mi trovavo viene portato a braccia un uomo immobile, pallidissimo. E’ un asiatico. Sono infermiera e da Genova 2001 in poi porto sempre nello zaino il necessario per il primo soccorso. Mi precipito. Sta malissimo. Gli occhi aperti ed immobili, la respirazione troppo superficiale per essere efficace, ha una ferita al torace, a sinistra, che non sanguina quasi, lunga 3-4 centimetri, si esclude il colpo d’arma da fuoco. E’ il coreano che si è suicidato, ma noi soccorritori non lo sapevamo ancora. Gli alzo le gambe per recuperare pressione, si aspetta con ansia l’ambulanza, ma quell’uomo sta morendo, e noi impotenti lì ad assistere alla sua agonia. E’ terribile, mi ripetevo, anche a Cancun è morto un uomo e non so ancora perché, chissà cosa pensa ora, cosa vede da quei suoi occhi vitrei, ma quando arriva questa dannata ambulanza. Quando finalmente arriva, per me è già morto (il referto ufficiale dell’ospedale dice che è morto un po’ di tempo dopo). La notizia del suicidio si diffonde rapidamente per tutto il corteo. Un grande turbamento collettivo, incredulità, impotenza, rabbia e un grande rispetto verso il gesto di un uomo che da anni, anche con digiuni prolungati, lotta contro le ingiustizie dei potenti. I coreani rivendicano subito il gesto del loro compagno, dichiarano che è morto perchè altri possano andare avanti. All’ospedale, e nei giorni successivi in vari punti della città, allestiscono degli altarini pieni di candele e con le foto di Lee. Questo tragico episodio ha inevitabilmente cambiato un po’ l’agenda delle giornate successive: alcuni forum e conferenze non si sono svolte ed altre hanno cambiato all’improvviso sede di svolgimento.
Non si sapeva ancora molto il 12 settembre sulla manifestazione conclusiva del giorno dopo se non l’ora e che avevano aderito i sindacati. Si temeva per sua la riuscita. Nel frattempo, venivano notizie inquietanti dal palazzo della ministeriale del WTO:

i G21 stavano subendo pressioni e ricatti tremendi da parte degli Usa e UE per desistere dalle loro posizioni. L’ansia per una loro tenuta era alta. Forse avrebbero prolungato la ministeriale di un giorno. Forse avrebbero fatto un accordo cornice di facciata per rimandare il tutto all’anno prossimo, forse. Dal palazzo arrivavano anche le notizie delle azioni delle ONG che si muovevano con grande determinazione e con molti colpi di scena tant’è che si diceva che gli avessero proibito di assistere alle conferenze stampa ufficiali a causa delle loro azioni di disturbo. In tutto il territorio di Cancun intanto si moltiplicavano azioni di blocco. Nei pressi del palazzo delle conferenze cinque ragazzini molto determinati hanno paralizzato per quasi un’ora il traffico della zona degli hotels ed attirato decine di soldati e giornalisti: fuori dalle transenne urlavano come pazzi che volevano circolare liberamente nella loro città senza quelle maledette gabbie rosse. Una bella ragazza, tolta la maglia e rimasta in costume, urlava che voleva andare a casa sua oltre le transenne perché quella era l’unica che aveva e voleva cambiarsi. Degli americani, entrati incredibilmente nella zona della ministeriale si sono arrampicati e denudati su una gru di un hotel in costruzione, e dopo aver svolto uno striscione, hanno dichiarato che non sarebbero scesi se non al termine dell’incontro ufficiale. I GC con Via Campesina hanno compiuto un blitz nella zona delle conferenze, dove sono stati ingabbiati con le transenne dalla polizia, senza conseguenze ma paralizzando per molto il traffico proprio sotto le finestre dei delegati. Un vero fermento generalizzato, fuori e dentro la ministeriale.

la manifestazione del 13 ha visto una larga partecipazione, maggiore addirittura di quella del 10, più colorata e determinata, malgrado i timori dei giorni precedenti. L’avanguardia era rappresentata dalle donne, indigene, europee, americane, militanti e non. Le indigene, dopo un rito di preghiera immerse nelle acque di una grande fontana, con petali di fiori e polvere rossa profumata, si sono unite alle altre. Le barriere erano state ulteriormente rafforzate dall’esercito e poste in posizione più arretrata rispetto il 10: doppia fila di transenne, tra le due fila altre transenne poste in diagonale e il tutto sostenuto da pesanti blocchi di cemento. Sembrava fosse impossibile questa volta abbattere la zona rossa ma il lungo lavoro certosino e coordinato di tutti è riuscito nell’intento. Le donne, in prima fila, hanno iniziato, con le cesoie e un paziente lavoro, a tagliare la rete, Via Campesina e i coreani, con robuste funi intrecciate, hanno divelto, in un grande gioco alla fune, transenna per transenna. Il gruppo dei black-block, spontaneamente, faceva il servizio d’ordine a Via Campesina, con i loro carrelli carichi di tutto, massi, pietre, pali della luce, cartelli stradali. La posizione arretrata delle transenne e il blocco da parte dell’esercito di tutte le vie di fuga laterali, ha fatto temere la volontà di intrappolare tutti i manifestanti. La tensione era alta. La trappola era veramente pronta ma c’è stata la volontà da parte delle forze dell’ordine di non farla scattare, malgrado la determinazione dei manifestanti. A Genova ci hanno massacrato solo per esserci avvicinati alla zona rossa. Qui è stata divelta completamente e non è successo nulla. Probabilmente, il governo messicano che stava nel gruppo dei G21 non aveva nessun interesse a scatenare una repressione, ma anzi, aveva bisogno di tutto il nostro dissenso per trarre forza per le sue posizioni.

La notizia del fallimento totale del vertice del WTO, senza accordi cornice di facciata, senza intese, senza condizioni, dopo tutto il lavoro collettivo, mondiale, portato avanti in questi mesi e tra mille difficoltà, è stato accolto con una grande gioia. Il Movimento, a volte litigioso e inconcludente, diviso, settario e autoreferenziale, ha vinto sul WTO! Si apre ora una stagione importante, se la sappiamo cogliere. C’è da dare una forte spallata all’Europa che vorrebbero, figlia diretta dello spirito del WTO. Cancun insegna che diversi ma uniti, radicali e determinati si vince.

A Cancun Davide ha vinto Golia, ma ora chi è Davide e chi Golia? Ne siamo consapevoli fino in fondo?