Gli alberi bronchi…ali

di Mariano Di Mattia

La bellezza di porsi delle domande sta nella scoperta che a tutto c’è una possibile spiegazione. Anche quando il percorso è lungo e complicato, chi non si arrende trova la risposta. Sempre! Almeno, una delle possibili risposte esatte. Ma quante sono le possibili risposte esatte? Secondo me, tante quanti sono gli abitanti del pianeta!

Convinto di ciò, riflettevo su quanto sia straordinariamente logica ed emozionante la somiglianza tra alberi e bronchi. Infatti, se guardiamo un albero spoglio, immaginandolo capovolto, notiamo che è identico ai nostri bronchi! Tanto è vero che anche la medicina ha dovuto riconoscere ed accettare il legame tra biologia e botanica, inserendo nei suoi testi il termine “albero bronchiale”. Alberi e bronchi condividono scambi gassosi, respiro, forme ed articolazioni. Sono ormai anni che mi interrogo sui motivi della somiglianza tra gli esseri umani e la natura, senza però trovare una risposta che mi soddisfi pienamente.

Ieri sera però è avvenuto il miracolo!
Ero seduto sotto l’albero che solitamente offre riparo alle mie letture, un po’ leggevo ed un po’ riflettevo sulla natura di queste somiglianze. Come succede spesso, le domande mi rimbalzavano tra cuore e cervello in cerca di una risposta. Quando, all’improvviso, roba da non credere, l’albero sotto il quale ero seduto ha iniziato a parlarmi…

Era una voce mai sentita prima, un leggero accento toscano, sorridente, carica di meraviglia. Ha esordito con le parole che seguono.
“Te non puoi minimamente immaginare quanto ci si è divertiti a rincorrerci in pieno giorno. Approfittando del vostro esser rinchiusi in casa, abbiamo iniziato un pochino a tirare il fiato. Lo vedi quell’albero tutto strano lì in fondo? Quello basso e curvo a cui manca un braccio. Monconcino, lo chiamiamo così affettuosamente, proprio perché anni fa perse un braccio durante una tempesta.
Una notte di febbraio improvvisamente, mentre si faceva la consueta camminata per sgranchirci un pochino le radici, Monconcino propose a tutti di tentare una corsa in pieno giorno! Proprio approfittando della vostra assenza!
Ora che Monconcino fosse un po’ spiantato era noto a tutti gli alberi del parco, ma fino a questo punto non lo si poteva proprio immaginare!
Gli fu subito ribattuto, quasi da tutti, che se le passeggiate si erano sempre fatte solo di notte c’era un motivo. Non spaventare gli umani, né insospettirli e tanto meno correre il rischio di essere vivisezionati a scopo sperimentale, era questo il motivo per il quale ci si era mossi sempre e soltanto di notte! Era convinzione degli umani che gli alberi non si muovessero e non saremmo stati certo noi a destabilizzarli! Ecco perché, quotidianamente, con le prime luci dell’alba ciascuno di noi tornava immobile al proprio posto!
Ma Monconcino, neanche a parlarne, non sentiva ragioni che si opponessero alla sua idea. Disse che non avremmo corso alcun rischio, gli umani erano seppelliti in casa, temevano ogni cosa, finanche l’aria! Figurarsi se si fossero riversati nei parchi, per far cosa poi, solo per spiare noi! A supporto della tesi di Monconcino levarono la loro voce tutti i fili d’erba del prato, pronti a giurare sulla rugiada; mai nei giorni della quarantena erano stati calpestati da piede umano!
Anche gli insetti, che solitamente parlano un pochino a bassa voce, sfoderarono acuti inattesi per confermare la tesi di Monconcino! Lo fecero raccontando di come, indisturbati e per giornate intere, poterono giocare scivolando sul concavo dei fili d’erba più larghi. Senza contare nelle loro file né morti, né feriti per schiacciamento. A questo punto, non vi era più motivo per rinunciare a questa esperienza. E così abbiamo fatto in questi indimenticabili due mesi!
Notte e giorno a rincorrerci, mentre gli uccellini saltavano in corsa da una chioma all’altra. Uno spettacolo che da queste parti non s’era mai visto. Qualche notte, stanchi della corsa diurna, ci siamo seduti in cerchio per parlare di ciò che voi umani presumete di sapere di noi. Ed eccolo là Monconcino, che con le sue solite domande profonde e curiose riusciva sempre a creare stupore ed allegria. Tra le cose che Monconcino si è chiesto e ci ha sottoposto in questo tempo, quella che più mi ha colpito è questa: Chissà se gli umani lo hanno capito che siamo una specie vivente, che abbiamo amici, parenti, che ci innamoriamo, abbiamo figli e cerchiamo di prepararli alla difficoltà di una vita non sempre facile.
Ma lo sanno gli umani che ogni volta che costruiscono qualcosa, un tavolo, un mobile o una sedia, noi piangiamo per la perdita di molti di noi? Sapranno, secondo voi, che abbiamo ferite sui nostri tronchi che coincidono con i disegni, i nomi e le date memorabili che incidono sulle nostre cortecce come fossimo fatti di pietra?
Qualche giorno fa, quando si era diffusa tra noi l’informazione e la paura del vostro ritorno, abbiamo fatto un’ultima corsa diurna, Poi Monconcino ci ha anticipato che, in occasione del discorso di chiusura, ci avrebbe voluto parlare di una sua personale idea riguardante le nostre sorelle e fratelli Ulivi. Cosi, data l’occasione, per ascoltare il discorso finale di Monconcino tutti abbiamo indossato le cortecce della festa e ci siamo recati nei pressi del punto in cui solitamente è piantato.
Monconcino ci ha detto che secondo lui negli ulivi, nel corso dei secoli, avevano trovato riparo tutti i filosofi dell’antica Grecia. La forza con cui descriveva la somiglianza tra la forma degli ulivi e quella dei corpi, dei volti e delle mani di questi antichi pensatori…ci ha fatto spuntare brividi e muschio sui tronchi all’improvviso.
Ma quando, alla fine del suo discorso, ha associato la recente morte di tanti ulivi con la pigrizia di pensiero del nostro tempo, quasi a voler ipotizzare la morte per collera di ciascun filosofo abitante l’ulivo…
Allora sì, abbiamo visto lacrime di resina solcare il volto di molti tronchi”.
Al silenzio improvviso ed assoluto, che ha fatto seguito alle parole dell’albero narrante, s’è unito il mio ed il sibilo di un vento leggero che ha raccolto le parole appena pronunciate dall’albero sotto il quale sedevo, perché potessero viaggiare tra gli umani. Finalmente, dopo essermi posto mille domande per un tempo infinito, la natura stessa aveva fornito la risposta al quesito: “Alberi e bronchi sono fatti della stessa sostanza, ecco spiegata la somiglianza”!
Colmo di nuova sapienza, ho infilato il libro sotto l’ascella per dirigermi verso casa, ma il tempo delle sorprese non era ancora finito. Mentre asciugavo lacrime di gioia dal mio volto, dalle pagine del libro gocce di resina venivano giù disegnando percorsi indelebili sulla mia camicia. Che meraviglia, anche i libri, figlie e figli degli alberi, si commuovono!