La quotidianità di un codice deontologico

Lo scorso 13 aprile è stata varata dal Consiglio Nazionale della Fnopi il Codice Deontologico degli infermieri del 2019, quinta versione sul piano storico. Nei fatti una rottura rispetto alle ultime due (1999 e 2009). La stessa Fnopi lo ha presentato come un documento che vuole avere la forza di un vero e proprio vademecum del professionista nei confronti delle problematiche dell’assistenza nell’Italia del Terzo Millennio. Aspirazione encomiabile, ma che lascia perplessi, specie dopo la lettura dei 53 articoli interessati in cui, fra le varie questioni, vengono messe in rilievo: l’etica, le disuguaglianze, le discriminazioni, la dimensione etnica e le complessità del fine vita, fino ad arrivare alle questioni legate alla contenzione. Si arriva ad un’attualizzazione del ruolo dell’infermiere in relazione alla comunicazione, intesa nelle prospettive attuali, costituite da tutto ciò che passa attraverso i social che dominano la quotidianità ormai di tutti noi; il tutto sintetizzato – o meglio compresso – in due articoli, un po’ avvitati su se stessi, che nell’affrontare la questione però alla fine riducono la comunicazione unicamente allo strumento/ambito dei social, non mettendo in rilievo null’altro. Sarebbe bastato evidenziare l’importanza della consapevolezza da parte del professionista sul fatto che la relazione con il paziente è spesso sbilanciata, complementare, gerarchica, letta, vissuta ed interpretata da soggetti – gli utenti – che sono in posizione di debolezza causa il loro stato di bisogno.
Un’ottica forse un po’ troppo sbilanciata a volte, lungo il corpo del testo del nuovo CD, sul singolo professionista, rischiando sia di perdere il contatto con i referenti principali dell’assistenza – singoli e comunità – sia con il sistema di welfare ed il contesto socioeconomico in cui si vive. Molti sono gli elementi chiamati in causa lungo questa prospettiva. Elencarli tutti sarebbe farraginoso e potrebbe portare a inutili polemiche rispetto al singolo dato, facendo perdere di mira il contesto d’insieme che il nuovo CD rappresenta.
In questo è necessario soffermarsi su ciò che non assume rilievo in questo codice, come nel caso dei concetti di lotta alle disuguaglianze e di sviluppo dell’equità socio-sanitaria; del sostegno ad un welfare universalistico e del farsi portatori del diritto di accesso alle prestazioni in misura strettamente correlata a quei determinanti sociali che sono il reddito, l’istruzione, l’occupazione, ed ancora l’età, la stratificazione sociale, le fragilità legate all’ambiente e alle abitazioni, e molto altro ancora. In un paese in cui il Ssn perde di anno in anno professionisti (26.500 fra il 2012 e il 2017), subisce tagli continuamente e diventa oggetto di interesse politico solo in relazione ad episodi di sciacallaggio elettorale delirando in tema di malasanità, non considerare tutto questo nel “vademecum” del professionista è semplicemente sbagliato.
Mentre il dibattito politico italiano è totalmente appiattito su problematiche inesistenti come quelle relative all’invasione di nuovi barbari o al rischio di scomparsa dell’italianità, nel nuovo CD ricompare – dopo essere stato tolto, giustamente nel 2009, il concetto di etnia, al fine di sottolineare la necessità di non creare discriminazioni, ma in realtà avallando una chiave interpretativa del diverso, che poggia sulle stesse basi astoriche e ascientifiche del concetto di razza. Lungo una prospettiva di modernità e di attualizzazione in realtà il nuovo CD ha il merito di riportare suggestioni, e visioni, proprie di un passato che si credeva lontano.
Il tema della contenzione in questo è significativo, specie nei confronti dei molti professionisti che ne auspicavano la cancellazione dal codice, negando in questo una qualsiasi forma di legittimazione professionale all’altro, per dare rilievo unicamente agli unici testi che in materia possono esprimersi: la Costituzione italiana ed il Codice penale.
Nel nuovo CD invece ci si illude che sia sufficiente l’affermazione che la contenzione non è un atto terapeutico, come se i molti infermieri che quotidianamente sono costretti a ricorrere a questo strumento di tortura non ne avessero la consapevolezza. Come se nel momento in cui si serrano polsiere e cavigliere nessun infermiere è portato a chiedersi perché non è stato fatto qualcosa per evitare la contenzione, cosa è mancato nella presa in carico, perché alla fine a rimetterci sono sempre gli ultimi: il paziente e il professionista che lo contiene.
Polemiche provocatorie? Sicuramente, ma altrimenti non si potrebbe fare, di fronte ad un testo che “non” accompagnerà il professionista per i prossimi 10 – 20 anni, perché non gli sarà d’aiuto. Anzi, sarà la base su cui si costruiranno molte risposte da parte del mondo professionale per spiegare, modulare, convincere in perfetto “infermierese” la quasi totalità del quasi mezzo milione di professionisti (441.468).
Un CD innovativo, all’avanguardia avrebbe posto in termini chiari le questioni dell’obiezione di coscienza in un paese in cui viene negato il diritto ad una maternità libera e partecipata, mentre l’Alabama è dietro l’angolo. O le questioni legate al fine vita che significa prossimità, assistenza sul territorio, sviluppo di un dibattito ampio sull’eutanasia, ma ancor più sulla non vita in cui migliaia di persone sono relegate da malattie cronico-degenerative lasciate al loro destino prima ancora che dalla malattia da criminali tagli di budget. Ed ancora la povertà e la disabilità, la solitudine e l’esclusione, la stratificazione sociale e la segmentazione professionale, di tutto ciò non v’è alcuna traccia nel nuovo CD, fra le righe di un testo che sembra perdere il senso dell’attuale, del contesto, della multidimensionalità e di una lettura (e letteratura) sociale della professione, per appiattirsi in una interpretazione liberale e, falsamente, neutrale dell’essere infermiere.
Si potrebbe continuare per molto ancora, analizzando articolo per articolo (lavoro per altro fatto e visionabile su nurse 24), ma quello che conta rimane legato al paziente e all’infermiere. Il primo continuerà ad attendere in un limbo di assistenza negata in un sistema di welfare sempre più ammalorato di mercato, l’altro, nella maggioranza dei casi continuerà a subire un sistema sanitario, sociale e professionale che dovrebbero essere migliorati profondamente.
Non so quanti colleghi abbiano letto il nuovo CD. Penso che siano una percentuale molto bassa. Un numero maggiore probabilmente sarà quello relativo a coloro che si sono scatenati sui social in commenti di vario tipo. Pur non avendolo letto, ma si sa, anche fra gli infermieri non mancano i leoni della tastiera. La stragrande maggioranza degli infermieri e delle infermiere italiane non hanno letto il nuovo CD. E non lo leggeranno. Troppo presi dalla realtà quotidiana della carenza di personale, di servizi, strumenti, risorse, soldi, conoscenze, in un sistema e in un paese dove le capacità vengono dopo la fedeltà e la sottomissione agli ordini continui che piovono dall’alto. Un po’ troppo per un semplice CD? Certo, però necessario nella speranza che ogni professionista, ogni collega, ogni personalità del sistema socio-sanitario possa riscoprire il suo mandato sociale di sostegno, aiuto, di infermiere coinvolto, di commitment e di advocacy, di fattore protettivo contro le disuguaglianze e di professionista che può cambiare in meglio questa società. Gli infermieri sono degli indicatori sociali, sul piano qualitativo e quantitativo, della preparazione e dell’affiliazione, della loro visibilità e partecipazione essi (noi) parlano di come è strutturata e stratificata la società in cui vivono. Il nuovo CD in questo li rappresenta più di quanto non si creda, ma questo non significa che vada nella giusta direzione.

Giordano Cotichelli, 26 maggio 2019

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