La vecchiaia attraverso la lettura dal “Diario di Jane Somers”

Il romanzo di Doris Lessing edito da Feltrinelli offre elementi per approfondire i temi relativi agli aspetti psicologici e sociali dell’assistenza agli anziani soprattutto domiciliare, alle percezioni e ai vissuti comuni tra i malati rispetto all’istituzione ospedaliera, alle relazioni tra malato e operatori sanitari e ai rapporti all’interno dell’équipe curante.

Ada Masucci

Premessa

L’estate del 2003 verrà ricordata oltre che per la calura e le temperature torride di cui non si aveva memoria da secoli anche per la moria degli anziani; tanti a migliaia in alcuni paesi europei, in particolare in Francia e in Italia, sono morti soli nelle grandi città abbandonate e svuotate dalle famiglie partite per le vacanze al mare o in montagna.
Nell’autunno la Francia ha voluto rendere onore, seppure postumo, ai tanti anziani morti attraverso una cerimonia funebre solenne.
Alcuni degli anziani morti durante l’estate 2003 sono stati ritrovati solo dopo giorni e per alcuni di essi è stato difficile persino mettersi in contatto con i parenti in vacanza a riprova della condizione di abbandono e solitudine in cui vivono gli anziani nelle nostre città. Il ricovero in case di riposo, ville per anziani tempera solo in parte l’abbandono e se qualcosa queste strutture, spesso, riescono a garantire è la cura fisica, la sorveglianza; assai poco riescono ad offrire sotto l’aspetto relazionale. In Vecchi Sandra Petrignani riporta le parole di un’anziana donna ricoverata in un istituto: “vorrei sbattere la testa contro il muro. Ho 83 anni. Troppi. Dovrei essere già morta: tanto a nessuno importa di me, nessuno al mondo sa che io esisto”. La deprivazione affettiva pesa sui loro animi al punto di arrivare ad augurarsi la morte come una liberazione. Una relazione affettiva sinceramente vissuta arricchisce e dà significato alla vita di una persona; Norberto Bobbio nel suo De Senectute afferma “non ho tratto le soddisfazioni più durature della mia vita dai frutti del mio lavoro, nonostante gli onori, i premi, i pubblici riconoscimenti ricevuti, graditi ma non ambiti e non richiesti. Le ho tratte dalla mia vita di relazione, dai maestri che mi hanno educato, dalle persone che ho amato e mi hanno amato, da tutti coloro che mi sono stati sempre vicini e ora mi accompagnano nell’ultimo tratto di strada”.

Il diario di Jane Somers Doris Lessing

Maudie e Janna: un’anziana signora sui novanta, molto povera, isolata dalla famiglia e una ricca borghese, cinquantenne, dinamica, efficiente, giovanile; vedova, con un lavoro – è redattrice di un giornale femminile – che le piace molto e la impegna tutto il giorno. Due caratteri forti che si intendono di più con lo sguardo e con i gesti, che non parlandosi e chiarendo i loro dubbi. Si incontrano così per caso in una farmacia del quartiere in cui abitano mentre Maudie cerca di capire che cosa le ha prescritto il suo medico per il timore di essere stata ingannata. Maudie confonde inizialmente Janna per una buona vicina, le donne che si offrono come volontarie per tenere compagnia agli anziani e che orgogliosa com’è non vuole neanche vedere, come non ne vuole sapere dell’assistenza domestica e dell’assistenza infermieristica; l’unica cosa che chiede è di poter ricevere i pasti pronti a casa, ma quelli non glieli offrono perché è in grado di prepararli da sé. Maudie vive non solo in solitudine, ma quasi in uno stato di abbandono, in parte per scelta; per orgoglio rifiuta l’assistenza pubblica e non vuole essere aiutata come un bisognoso; prima ancora di sentirsi vecchia e povera Maudie si sente persona; una persona che ha ancora molte cose da dare agli altri, infatti la narrazione della sua vita a Janna, di quando era una giovane modista, innamorata della vita e confezionava cappelli incantevoli per le signore ricche, offrirà a questa la possibilità di scrivere un romanzo e soprattutto di fare un percorso di crescita interiore dove la vita non è solo più luccichii, colori, belle persone curate nell’aspetto, quella vita che trova spazio sulle pagine patinate, lucide, colorate, piene di belle fotografie del suo giornale. Janna compie grazie all’incontro con Maudie e all’amicizia che ne scaturisce un percorso di scoperta della vita e della sofferenza che non era riuscita a fare vicino al marito malato e alla madre morente: d’altra parte alcune settimane fa io non mi rendevo nemmeno conto dell’esistenza degli anziani. I miei occhi venivano attratti dalle persone giovani, belle, eleganti, piacevoli, e “vedevo” solo quelle. Ora è come se un velo fosse stato steso su quelle immagini, e sopra il velo, tutt’a un tratto, ci sono i vecchi, i malati….. all’inizio della sua nuova amicizia Janna arriva a chiedersi a cosa “serve” Maudie Fowler? Stando ai criteri che mi sono stati inculcati a niente. Lo scoprirà conoscendo meglio Maudie ed entrando nel suo mondo di ricordi.
Il romanzo offre elementi per ulteriori approfondimenti relativi a:

assistenza agli anziani soprattutto a domicilio per ciò che concerne gli aspetti psicologici e sociali
percezioni e vissuti ancora comuni tra i malati rispetto all’istituzione ospedaliera
relazioni tra malato e operatori sanitari
rapporti all’interno dell’équipe curante
L’incontro in farmacia con Maudie colpisce Janna e secondo uno stereotipo molto infantile la prima cosa a cui pensa guardando l’anziana donna è a una strega: stavo guardando una vecchia e pensai una strega. Già dalla descrizione che ne dà al primo impatto è possibile cogliere aspetti che ricorreranno lungo tutto il romanzo e che caratterizzano molte persone anziane sole.
La trascuratezza della persona: chissà da quanto tempo Maudie non riesce più a fare un bagno, a lavarsi con cura; Janna guardandola più da vicino si accorge che è sporca ed emana un odore sgradevole: era il suo odore, un odore dolce, acre, polveroso. Vidi la sporcizia sul suo vecchio collo sottile, e sulle sue mani. E’ interessante cogliere nel romanzo un aspetto che forse enfatizza ancora di più la scarsa cura che Maudie ha di sé ed è il contrasto sui cui ripetutamente si sofferma Doris Lessing nel descrivere il corpo, magro, debole, sporco della povera donna anziana e i dettagli del rito del bagno che Janna fa ogni sera e ogni mattina, un bagno ristoratore, una consuetudine a cui non è disposta a rinunciare. Tanto è freddo, sgradevole il gabinetto di Maudie quanto è accogliente, calda, curata nel minimi dettagli la sala da bagno di Janna, perfetta per la scelta dei colori e per l’arredamento: vasca grigio-azzurra e due scaffali pieni di sali, creme, schiume da bagno, oli, essenze con cui Janna prende cura del suo corpo, giovane, sodo, bianco, privo di grasso.
Janna si assenta per qualche giorno per un impegno di lavoro all’estero e quando rientra prima di tornare a casa si ferma per salutare Maudie; e fa fatica a farsi aprire, si arrabbia; ma la sua rabbia svanisce quando compare lei: un minuscolo fagotto nero, con quella faccetta bianca in cima. E l’odore… Nelle pagine successive mentre Janna si prepara per fare il bagno a Maudie colpisce una riflessione di Janna che esprime con molta semplicità l’animo con cui un curante dovrebbe sempre avvicinarsi ad una persona in una situazione di bisogno: se volevo capire lo stato di impotenza della povera Maudie dovevo ricordare come era la mia vita da piccola, quando speravo sempre di farcela a non bagnare le mutandine prima di arrivare al gabinetto.
A causa di una lombaggine che la costringe a letto per diversi giorni Janna sperimenta su di sé il senso di impotenza per la non padronanza del suo corpo e l’oggettivazione di questo a mero corpo biologico: l’infermiera è arrivata verso le dieci, e abbiamo stabilito una routine imperniata sui bisogni animali. L’animale deve liberarsi di X litri di liquido e duecentocinquanta grammi circa di solido: l’animale deve ingerire X liquido e Y cellulosa e calorie. Per due settimane sono stata esattamente come Maudie, esattamente come tutte quelle vecchine, non ho fatto che chiedermi ossessivamente, ce la farò a tenerla ancora, no, meglio non bere una tazza di tè, se poi l’infermiera non viene me la farò addosso… Alla fine delle due settimane quando ho potuto fare a meno della padella (due volte al giorno) e trascinarmi in bagno, ho capito che in quel periodo avevo sperimentato, assolutamente, l’impotenza della vecchiaia.
Quella efficienza, quella vitalità e autonomia di cui Janna è così fiera piuttosto che allontanarla da Maudie l’aiutano ad esserle più vicina, infatti mentre beve il tè da quelle tazze sudice, che sin dalla prima volta che le ha viste le hanno provocato ribrezzo e ripugnanza, Janna pensa a quando Maudie era giovane e certamente come lei amava lavarsi, spazzolarsi i capelli, avere cura della sua casa e della sua persona. Janna non si avvicina a Maudie come ad un “oggetto” da girare, lustrare, rimettere a posto; la coinvolge, le chiede aiuto su cosa deve fare e come lo deve fare. La sua attenzione all’igiene non le impedisce di avere delicatezza e anche se il corpo, il povero corpo di Maudie non sarà perfettamente pulito, ciò che importa è il rispetto di quel corpo: sul collo c’erano spesse incrostazioni di sporcizia: per toglierle avrei dovuto sfregare forte, e non potevo certo farlo.[1]

Janna continua il suo percorso di crescita e di maturità in cui Maudie con la sua fragilità la sta accompagnando: io stavo confrontando quel corpo vecchio e fragile con quello di mia madre: ma ero riuscita a dare solo di sfuggita qualche occhiata al corpo malato della mia mamma. Si era sempre lavata da sola – e solo adesso comincio a capire con quanta fatica – fino a quando era stata ricoverata in ospedale. E ci pensava Georgie, quando veniva a darle una rinfrescata. Ma non la sua figlia bambina, non io. E ora lavavo Maudie Fowler, e pensavo a Freddie, alle sue ossa che sembravano piatte, sotto la pelle tesa. Può darsi che Maudie sia solo pelle e ossa, ma il suo corpo non ha quell’aspetto distrutto, sconfitto della carne che affonda nelle ossa. Maudie era gelata, era malata, era debole – ma sentivo qualcosa pulsare dentro di lei: la vita. Com’è tenace, la vita. Non ci avevo mai pensato prima; non l’avevo mai recepita in quel modo, non come in quel momento, mentre lavavo Maudie Fowler, una vecchietta arrabbiata e indomita. All’improvviso ho capito che tutta la sua vitalità risiede in quella rabbia. Non devo, non devo assolutamente risentirmene, non devo reagire violentemente. ….le ho lavato le parti intime, e per la prima volta ho pensato davvero al significato di quella espressione. Maudie soffriva orribilmente proprio perché una sconosciuta stava invadendo la sua intimità.
Una peculiarità degli anziani e spesso anche delle persone malate in stadio avanzato della malattia è la lentezza a cui si accompagna la stanchezza anche per operazioni che per le persone in salute sono semplici, quotidiane. Janna si adatta ai tempi di Maudie e pur rendendosi conto che sarebbe necessario lavare i capelli rispetta la scelta di Maudie sfinita da quel bagno: “i capelli possono aspettare” ha detto lei.
Il lavoro assorbe molte delle energie di Janna, sembra quasi una scappatoia per non pensare alla vita, ma il percorso che Janna ha iniziato prosegue e parallelamente va avanti la sua consapevolezza. Joyce, una persona con cui per anni Janna ha lavorato è obbligata per motivi familiari ad abbandonare il giornale e trasferirsi negli Stati Uniti: la separazione dall’amica è per Janna motivo di grande sofferenza: sono quasi pazza di dolore…se posso soffrire tanto per Joyce, se non altro sono arrivata ad ammettere la possibilità del dolore, del lutto. Qualcosa di nuovo entra nella vita di Janna, impensabile sino ad allora, tanto questa era stata ovattata e dorata. Né la morte del marito, né quella della madre avvenute entrambe per cancro le avevano consentito di accedere ad un maggior livello di maturità e di comprensione della vita; con entrambi aveva continuato ad essere la moglie-bambina o la figlia-bambina
E’ proprio degli anziani anche se vivono in situazioni di difficoltà economica o in condizioni di salute precarie l’attaccamento alla propria casa e alle proprie abitudini e Maudie rifiuta di essere istituzionalizzata in una casa di riposo per anziani; anche quando è malata rifiuta categoricamente la possibilità di un ricovero in ospedale e cederà solo alla fine quando la diagnosi è grave e Janna non ce la fa a prendersi cura di lei.
“non andrò in ospedale, non ci andrò, non può costringermi”. Sono la parole che Maudie dice al medico; Janna si sforza di capire se ha avuto esperienze precedenti di ricovero in ospedale e cosa sia successo: no, sono stati abbastanza gentili. Ma non mi piace. Ti riempiono di pillole e pillole, e hai l’impressione di non avere più il cervello. Ti trattano come una bambina. Non voglio… In un altro momento Janna ascolta Maudie che borbotta tre sé e sé cosa pensa degli ospedali: prigioni, riformatori. Ed è curioso che Maudie, oramai in fase avanzata della malattia, ma ancora perfettamente lucida, venga trasferita in un ospedale appena ristrutturato, accogliente, che un tempo, quando lei era bambina, era stato una casa di lavoro, una casa di correzione. Riemerge in questo ospedale in cui si trovano solo anziani il comportamento bamboleggiante di alcune infermiere nei confronti dei ricoverati, ma una di loro Mrs Flora Medway ha ben chiaro quali sono i suoi diritti: mi chiamo Mrs Medway. Non voglio che mi si chiami Flora. E non ho intenzione di farmi trattare come una bambina. Quando arriva un’infermiera nuova e le si rivolge chiamandola cara, carina, tesoro o Flora, lei dice subito “non mi tratti come una neonata, sono abbastanza vecchia da essere la sua bisnonna”. … correggendole con fermezza e decisione.
Le condizioni di Maudie si fanno molto gravi e Janna se ne accorge dal colore della sua pelle, dal dimagramento, e soprattutto dall’aspetto e dall’odore delle feci: Maudie ha un cancro allo stomaco e ha molto dolore. I medici che Maudie incontra confermano con il loro comportamento consuetudini ancora molto diffuse negli ospedali nei confronti dei malati, particolarmente quando si tratta di vecchi:

atteggiamento distaccato e distante, in cui l’attenzione è rivolta alla patologia, al caso clinico, talvolta interessante anche solo a scopo didattico; il medico che visita Maudie, la prima volta in un ambulatorio, è infastidito dalla richiesta di Janna di allontanare dalla stanza gli studenti medici perché la sua vecchia amica è spaventata. Sotto l’aspetto formale il comportamento del medico è irreprensibile: si giri per favore, tossisca per favore, trattenga il fiato per favore….lo faccia per me. Ancora una volta ritorna il comportamento vezzeggiante che spesso medici e infermieri usano con i vecchi, senza rendersi conto di quanto questo possa essere umiliante;
l’incapacità di mentire e soprattutto l’incapacità di comunicare con delicatezza e umana partecipazione alla sofferenza dell’altro una diagnosi grave; infatti Janna percepisce che la malattia di Maudie è grave proprio dal comportamento dei medici: so che c’è qualcosa che non va, qualcosa di grosso, per via dell’aria di blanda competenza del grande dottore…
la prosopopea che talvolta viene usata come barriera di difesa, ed è significativa l’espressione di Maudie per indicare il medico che l’ha visitata il Lord Lasciate-Fare-A-Me.
Nelle ultime pagine del libro emerge attraverso una descrizione molto realistica uno spaccato di vita quotidiana in corsia: la visita medica del luminare con il codazzo di assistenti, studenti, specializzandi, il gregge che appare sulla porta, come lo definisce Janna; il rapporto tra medici e pazienti utili solo per acquisire esperienza; oggetti di cui ciò che interessa sono gli aspetti clinici della malattia, come se il resto, i sentimenti di paura, rabbia, riserbo della persona malata fossero un intralcio al raggiungimento del vero obiettivo: “l’avanzamento delle conoscenze scientifiche”; il rapporto talvolta conflittuale tra medici e infermieri.
La narrazione della visita medica al letto del paziente che Maudie fa a Janna colgono una quotidianità verso cui, forse per abitudine, gli operatori sanitari non mostrano talvolta molta sensibilità: “e perché dovrei essere proprio io la cavia? Non mi chiedono mai niente. E sono così giovani, bambini, come fanno a sapere cosa bisogna fare? E lui, il grande dottore, si è messo qui vicino al mio letto e ha continuato a parlare di me con tutti quei ragazzi senza neanche guardarmi. Oh, credono che sia diventata scema! E poi, mentre erano lì tutt’intorno al letto…” e continua a parlare; e a me sembra di vederla, la scena, la minuscola Maudie con la sua faccetta gialla contro i cuscini bianchi, e la foresta di giovani, uomini e donne, alti, torreggianti, e – di fronte a loro, non tra di loro – il grande dottore…
Alcuni malati osservano, per cultura tramandata oralmente da un malato all’altro, che quanto più numerosi sono i medici attorno al letto di un paziente tanto più grave è la malattia e l’esperienza di Maudie conferma questa espressione di saggezza popolare. E’ interessante anche il campo semantico utilizzato dalla scrittrice per descrivere l’accerchiamento del letto – foresta di giovani, alti, torreggianti – e che esprime pienamente quella condizioni di subalternità in cui è tenuto il malato in ospedale.
“E dopo aver finito di parlare, ha detto, Come stiamo, oggi, Mrs Fowler? E poi ha ricominciato a parlare con quei ragazzi, di me. Cosa crede, che sia un’idiota?” (E’ così furiosa e angosciata che queste ultime parole le escono in uno strillo strozzato.) “Mi ha detto, Tiri su la camicia, per favore Mrs Fowler. Io non volevo, perché avrei dovuto ubbidire? Ma l’infermiera si è fatta avanti, desiderosa di compiacerlo, e mi ha tirato su la gonna, davanti a tutti, mi ha messo in mostra. E lui ha cominciato a tastare e a schiacciare, come se fossi un pezzo di pasta, e ha detto ai ragazzi, Lo vedete quel rigonfio? Qui, avanti, tastate. E a me nemmeno una parola. Mi hanno tastata tutti, uno dopo l’altro. Grazie, Mrs Fowler, ha detto lui, ma non me l’aveva mica chiesto il permesso, no. Lo vedete quel rigonfio, ha detto, qui, avanti, tastate – come se io non potessi né vederlo né toccarlo, il mio rigonfio! Non sono una stupida, non sono una scema, non sono un’idiota…” E Maudie è fuori di sé dalla rabbia, dall’impotenza. “Non mi ha mai guardata nemmeno una volta. Avrei potuto essere un pezzo di legno, o un sasso. Guardava sempre loro, è di loro che gli importa. Io ero un oggetto, una cosa che gli faceva comodo aver lì, a disposizione, in quel momento”.
Il calvario di Maudie continuerà ancora per alcuni giorni in quell’atmosfera gentile, disinvolta, indifferente che spesso si coglie in corsia; e anche gli ultimi giorni di vita di Maudie sono amareggiati dall’assenza di intimità e di silenzio accogliente che dovrebbe circondare una persona che muore; Maudie è disturbata dal frastuono della corsia, il cigolio dei carrelli, le porte che sbattono, il rumore della cucina situata di fronte alla sua stanza, pur tuttavia desidera che la porta rimanga aperta, forse perché quella porta aperta è l’ultimo filo che la lega alla vita che fuori continua; Maudie prova dolore che viene controllato centellinandole gli analgesici perché possano continuare a fare effetto quando dovremo usarli in grosse dosi come spiega un’infermiera a Janna che è andata a chiedere qualcosa per Maudie che si lamenta.
I riti della corsia continuano e fuori dalla stanza di Maudie il grande dottore istruisce i suoi studenti sul caso di cancro allo stomaco: fortunatamente la signora ora è in coma, e morirà senza riprendere conoscenza. Ma Maudie è ben sveglia e lucida e l’insensibilità del medico indigna sia l’infermiera in visita che Janna: l’infermiera è furiosa. Per pura disciplina evita di scambiare un’occhiata con me, ma vibriamo tutte e due di indignazione…perché, naturalmente, sono le infermiere a controllare i cambiamenti di umore, lo stato di necessità dei pazienti, mentre i dottori si limitano a sporadiche visite, a dare ordini. … Come ha fatto a prosperare questo sistema assurdo, in cui coloro che danno gli ordini non sanno in realtà quello che succede? Una domanda a cui Janna, alias Doris Lessing, non dà una risposta in quanto occorrerebbe un saggio di storia ospedaliera e dell’assistenza infermieristica per capire come tutto ciò sia stato possibile. In Italia, scelte politiche, sancite per legge, hanno sostenuto una sanità pubblica sin dagli albori in mano alla classe medica; in gioco c’era la gestione del potere all’interno degli ospedali e le infermiere, prevalentemente donne, di basso livello culturale hanno abdicato vittime e corresponsabili allo stesso tempo di scelte i cui esiti nefasti le infermiere vivono ancora oggi nella pratica quotidiana.
Nel nuovo ospedale, ex casa di correzione, in cui è stata trasferita, Maudie rimane per tre settimane e Janna cerca di trascorrere vicino a lei tutto il tempo che può; il suo percorso di crescita è andato avanti: una volta avevo paura della vecchiaia, della morte, tanta paura che fingevo di non vedere i vecchi per la strada – non esistevano per me. Ora resto seduta per ore in quella corsia d’ospedale, e guardo, osservo, mi stupisco, mi interrogo, ammiro. Le sue parole di ammirazione sono per le infermiere: le infermiere… quanta pazienza, quanto buon senso, quanto buon umore! Come fanno, a comportarsi così.
Quando Janna si trova vicino al letto di Maudie ormai morta è ancora un’infermiera a starle vicino: una delle ragazze mi ha portato una tazza di tè. Il rituale. E’ un rituale molto simbolico, che conserva tracce di tradizioni, un tempo diffuse, e che ancora oggi sopravvivono presso alcune popolazioni; l’offerta di cibo al luttuato esprimeva la solidarietà e la vicinanza del gruppo, il sostegno in un momento di sofferenza estrema in cui il mondo e la vita perdeva il suo ordine abituale a causa della morte. Come osserva Doris Lessing attraverso le parole di Janna: quando un paziente muore, alle persone care, ai parenti, viene offerta una tazza di tè. Ed è giusto così.
Maudie è morta, ma sembra solo addormentata e Janna le stringe la mano che era ancora calda e gradevole, al tatto, mentre con l’altra mano regge la sua tazza di tè. Il decoro è d’ordinanza: bisognava mantenere il decoro; il dolore dopo la morte di una persona a cui siamo stati molto legati è contenuto; come ormai è consuetudine nella nostra società il lutto è diventato un fatto strettamente privato e tutto ciò che circonda la morte viene rimosso. Infatti al funerale di Maudie tutto il clan familiare, che da viva l’aveva abbandonata, è presente, tranne i bambini, naturalmente, come osserva Janna; perché di questi tempi si cerca in ogni modo di evitare ai bambini ogni contatto con cose fondamentali quanto la morte e i funerali.
Janna esce furiosa dall’incontro con i parenti di Maudie al funerale, arrabbiata, impotente come la sua vecchia amica, ma ad accoglierla c’è la sua giovane nipote, ospite in casa sua, che le prepara una calda tazza di tè, le è vicina, si cura di lei come un tempo Janna ha fatto con Maudie.

Bibliografia

Il diario di Jane Somers Doris Lessing Feltrinelli 2002

[1] Si potrebbe riflettere su quante volte gli infermieri seppur con buone intenzioni sottopongono i loro pazienti al rito delle cure igieniche anche quando questi sono stanchi e non ne possono più, ma l’organizzazione delle attività nel reparto lo richiede e bisogna farlo.