L’infermiere dentro la storia (1°parte “Risorgimento”)

Pubblichiamo in tre parti la relazione presentata da Marisa Siccardi al XXIV Congresso ANIN a Rimini 10, 11, 12 Aprile 2003. Marisa Siccardi appartenente al CISO (Centro Italiano di Storia Sanitaria e Ospitaliera di Reggio Emilia), è una delle massime esperte in storia dell’assistenza infermieristica; ci racconta in queste pagine le nostre radici, indispensabili per un’identità professionale. In questo numero l’assistenza infermieristica da metà dell’ottocento fino al risorgimento italiano, con figure di spicco quanto la Nightingale conosciute a livello europeo, come Cristina Trivulzio di Belgioioso, ma ignote al contesto infermieristico.

Marisa Siccardi

“Atre mode, altri idoli/ la massa, non il popolo, la massa/ decisa a farsi corrompere/ al mondo ora si affaccia,/ e lo trasforma, a ogni schermo, a ogni video/ si abbevera, orda pura che irrompe/ con pura avidità, informe/ desiderio di partecipare alla festa./ E si asseta là dove il Nuovo Capitale vuole./ Muta il senso delle parole/ che finora ha parlato, con speranza, resta/ indietro,invecchiato./ Non serve, per ringiovanire, questo / offeso angosciarsi, questo disperato/ arrendersi! Chi non parla, è dimenticato”

Pier Paolo Pasolini, La reliquia del mio tempo

Marisa Siccardi

Senso della guerra, socializzazione e missione nel mondo

Sul Novecento che molti di noi hanno attraversato in parte, sono stati forniti da alcune associazioni infermieristiche ricchi contributi per ricostruire la storia della professione: dai “20 anni” dell’ANIN (1995) alle pubblicazioni di Collegi ed Ospedali al pregevole lavoro dell’Associazione Regionale Lombardia Infermiere/i, curato da Cecilia Sironi, relativo a 50 anni di storia (1946-1996). Questa ricerca è preceduta da un’accurata descrizione del contesto storico, culturale e sanitario, vale a dire del periodo fascista (1922-1945), in cui si sviluppò, sulla scia del programma mussoliniano di “creare un nuovo italiano”, la formazione laica, prevalentemente all’interno della CRI. In realtà si evolse molto affine, sul piano etico e tecnico, alla concezione formativa delle scuole dirette da religiose, sia pure volta alla creazione di “un nuovo infermiere”, con ricadute evidenti nel periodo post-bellico, sino, e in talune realtà oltre, al boom economico degli anni Sessanta.In proposito, ritengo opportuno sottolineare che, assieme a un modello infermieristico legato in parte a quello della Nightingale, in parte a quello del Buon Samaritano, si possa affermare che l’esiguo numero di infermieri dirigenti emergenti assunse, inequivocabilmente, quello fascista, di cui Guerri[1] mette bene in evidenza le caratteristiche fondamentali: il senso della guerra, a cui era legato il destino di ogni italiano, la socializzazione: premessa insostituibile per la formazione di uno stato nazionale forte e la consapevolezza di essere, in quanto italiani fascisti, emissari della propria missione nel mondo.
Non possiedo, al momento, elementi sufficienti per valutare se e quanto fosse entusiastica o meno l’adesione al fascismo e desiderata l’appartenenza al sindacato omonimo da parte delle infermiere e delle ASV, a cui, peraltro, era obbligatoria l’iscrizione per poter esercitare la professione.
E’ certo, però, che è proprio dal regime che venne scelta l’infermiera che diresse il Sindacato Fascista. Lo stesso sindacato dal 1935 iniziò a pubblicare e a diffondere su tutto il territorio italiano il suo organo ufficiale di informazione e di propaganda “l’infermiere italiano”.
L’istituzione delle Scuole per Infermiere, di ASV e di VI e relativo Regolamento applicativo (R.D. 2330 del 1929), emanato già nel pieno delle guerre coloniali, riprese dopo la sconfitta di Adua del 1890 e quasi alle soglie del secondo conflitto mondiale, non a caso includeva nei programmi di studio le “Nozioni di cultura militare”. Nel programma del corso per infermiere, con chiaro riferimento alla guerra in atto, si introduceva la “patologia tropicale” e, in previsione di quelle future “l’infermiera nei momenti di pericolo sociale, di calamità e di difesa nazionale. In quello per ASV comparve la “Propaganda “, intesa nel senso letterale del termine, per la valorizzazione e la diffusione della cultura fascista e militare, nonché per l’educazione sanitaria e la prevenzione.
In questo periodo di revisionismo storico generale, che io intendo di ricerca accurata di tutte le fonti e di approfondimento relativo al perché degli eventi, ovvero quali ne siano state le premesse, le cause e le conseguenze, credo che per noi infermiere/i italiane/i la riflessione sulla nostra professione nel periodo fascista e sul prima e dopo, sia quanto mai opportuna.

Florence Nightingale, protagonista in uno scenario di guerra,

Proprio partendo dalla diversa interpretazione dei concetti di senso della guerra, socializzazione e missione nel mondo, intendo quindi ripercorrere a grandi linee il cammino infermieristico italiano dall’Ottocento ad oggi (con il solo riferimento, tra le “Maestre”, alla Nightingale proprio per il suo impegno politico), affinché ognuno di noi si interroghi sul presente per proiettarci insieme nel futuro, con una chiara concezione della guerra e della pace, della socializzazione, della missione professionale nel mondo.
Con la gestione napoleonica fu posta molta attenzione al settore materno-infantile, con l’istituzione della prima scuola per Ostetriche (cfr. ad esempio La Repubblica Democratica Ligure) e quella dei Befotrofi. Tuttavia i medici e gli infermieri dell’esercito napoleonico avevano un senso della guerra legato a una politica espansionistica. L’organizzazione sistemica di ospedali da campo, di spazi di pronto soccorso territoriali, la compilazione di precisi elenchi di farmaci, di strumenti chirurgici, di presidi sanitari e l’adozione di protocolli e di procedure seguite egualmente da tutti gli operatori, nonché l’assegnazione precisa di ruoli e di funzioni, risale a tale periodo.[2] Questa organizzazione metodologica verrà mantenuta nei regimi successivi, estesa agli eserciti di altri paesi e perfezionata negli ospedali civili.
Anche l’invenzione del triage risale alla gestione dei campi di battaglia napoleonici e verrà ripetuta nelle guerre successive, in tutti gli eserciti per essere poi trasferita, sino ai giorni nostri, negli ospedali civili con una sola, fondamentale differenza: il triage per identificare i feriti più gravi non per soccorrerli di urgenza, ma onde evitare di trasferirli per primi, il triage per scegliere quelli più facilmente curabili e guaribili, quanto prima possibile, per non sottrarre tempo e altre risorse materiali e umane alla necessità pregnante della guerra di rinviare al più presto, sul fronte di battaglia, la carne umana rivestita da una divisa militare.
Florence Nightingale il senso della guerra lo acquisì dopo essere stata chiamata ufficialmente a interpretare il ruolo di protagonista in uno scenario di guerra, quello di Crimea. Già verso la fine del 1854 è crescente la fermezza che lei e le 38 donne[3] prescelte, debbono esercitare per vincere la resistenza di ufficiali dell’esercito e di medici, strettamente legati al loro “indiscutibile” potere militaresco, decisionale e prescrittivi, anche in ambito sanitario.
Nella relazione di oltre 800 pagine presentata successivamente al governo inglese, descrisse con precisione e completezza la disorganizzazione e l’inappropriatezza del Servizio Sanitario dell’esercito, illustrando la sua metodologia di analisi delle cause dei problemi con l’applicazione di indagini statistiche, indispensabili per adottare le soluzioni più corrette e prevenire danni futuri. Di particolare rilevanza l’accento da lei posto sull’ambiente, con specifico riferimento sia all’unità dei feriti, sia alle condizioni macro-climatiche e igieniche generali. A fronte di circa 2.700 soldati morti sul campo e 1.800 per le ferite riportate, ben circa 17.000 decessi furono causati dalle condizioni climatiche differenti da quelle inglesi e dalla assoluta mancanza di igiene.
Ma già negli anni Quaranta la condizione sociale dell’Inghilterra richiedeva l’impegno politico di chi, vigile osservatore dei rapidi e grandi mutamenti epocali e dei loro effetti, come lo fu la Nightingale, introdusse con chiarezza nel dibattito pubblico l’attenzione verso le masse popolari, quelle che in termini marxiani vennero definite le classi subalterne.
La Nightingale, inoltre, convinta del diritto delle donne ad autogestirsi, pur essendo scettica circa la maturità politica di queste ( le riteneva ancora sottoposte alle idee dei rispettivi uomini di famiglia), firmò numerosi appelli delle suffragette e fu una strenua sostenitrice dell’emancipazione femminile. La sua capacità di rendere pubbliche le proprie iniziative (in primo luogo formative e organizzativo-sanitarie), unita all’attenzione crescente che poneva nei riguardi delle classi povere, le consentirono di partecipare attivamente al dibattito politico in corso, in particolare negli anni Sessanta.
Assieme a personaggi di spicco quali Charles Dickens e John Stuart Mill, la Nightingale sostenne l’Associazione per il miglioramento dell’assistenza infermieristica nelle Workhouses, dove nella sola Londra erano rinchiuse circa 20.000 persone, per oltre due terzi malate, colpite da un’alta mortalità dovuta all’inadeguatezza delle cure.
La modernità,anzi, l’attualità della sua concezione politica, risiede però nel fatto che ella identificò correttamente, senza alcuna esitazione, che il vero problema era costituito dalla stessa esistenza delle Workhouses: assieme ai riformisti liberali, si battè per un maggiore coinvolgimento dello Stato nell’assistenza alle classi povere e, a differenza degli altri riformatori, per l’eliminazione delle Workhouses.
Il suo impegno per la diffusione dell’assistenza domiciliare fu notevole. Con il metodo di rilevazione da lei adottato costantemente (i suoi questionari di indagine erano sempre corposi e particolareggiati) e la pubblicazione di dati statistici, riusciva a dimostrare scientificamente l’inconfutabilità delle sue affermazioni.
Gli ostacoli burocratici e la mancanza di fondi – ma non deve essere esclusa l’opposizione al suo radicalismo sulla questione delle Workhouses – rallentarono il programma governativo in favore dei poveri. E’ certo, comunque, che le infermiere formate dalla Nightingale contribuirono a rendere, almeno un poco, meno disumana la realtà delle Workhouses.
Scrisse al Times: “Secondo il mio punto di vista lo scopo ultimo di tutta l’attività infermieristica è il servizio ai poveri nelle loro case… Io miro all’abolizione di tutti gli ospedali e gli ambulatori delle Workhouses. Ma è inutile parlare dell’anno 2000”.[4] e lanciò una campagna di sostegno per la formazione specifica di infermiere domiciliare e consentì così l’apertura di ben tre scuole. Fu il primo passo verso la formazione del sistema nazionale inglese dell’assistenza infermieristica domiciliare, che si realizzò nel Novecento.
Nonostante la sua lungimiranza e la sua attenzione primaria, sul piano delle politiche sociali, rivolta alle classi meno abbienti, occorre ricordare che la Nightingale, figlia dell’epoca vittoriana, guardò con orgoglio alla potenza coloniale dell’Impero britannico e intervenne pubblicamente, anche su temi di politica militare e internazionale. Richiese la costituzione di una Commissione governativa volta a migliorare le condizioni di vita nelle caserme di tutta la nazione e le sue indicazioni ridussero drasticamente i morti per malattia.
La questione indiana, ovvero le malattie tropicali che decimavano le truppe inglesi inviate in India dopo la rivolta dei nativi del 1857, indusse la Nightingale ad occuparsi anche di questo problema, con l’obiettivo di migliorare non solo le condizioni di vita dei militari, bensì anche della popolazione indiana.
Nel 1863, al Congresso di Edimburgo della Associazione Nazionale per la promozione della Scienza Sociale, presentò un piano sanitario che comprendeva “il miglioramento dell’igiene nelle abitazioni, metodi di irrigazione e di distribuzione dell’acqua, innovazioni nelle tecniche agricole. Lanciò persino l’idea di prestiti ai contadini indiani da un’apposita cassa rurale, perché potessero diventare proprietari della terra che lavoravano e irrigarla con l’acqua fornita a pagamento dal governo inglese”.[5]
Certo non solo per le differenze culturali, in senso antropologico, queste sue proposte non trovarono applicazione, visto che le stesse idee, e le relative rivendicazioni dei nativi di tutto il mondo, ancora oggi non trovano risposta e il problema della terra e quello della privatizzazione della risorsa acqua e della sua distribuzione si sta globalizzando.
La lotta per la socializzazione, nel senso di rivestire attivamente un ruolo politico e sociale, fu perseguita dalla Nightingale con perseveranza (antesigniana quindi del Nursing sociale odierno) sul piano dell’etica politica (polis) al servizio della comunità, senza che la sua pur integrale religiosità, frapponesse alcun freno o ostacolo al suo concreto impegno sociale.
In Italia, alla vigilia del 1848, il senso della guerra trasmesso alle genti italiane è quello volto a stimolare l’orgoglio di appartenere ad una nazione, conquistando l’unitarietà con coraggio, virilità, sacrificio.

Cristina Trivulzio di Belgioioso, principi di libertà e rifiuto di ogni ingerenza straniera

L’assistenza infermieristica che venne posta in luce nelle guerre di Indipendenza fu essenzialmente quella élitaria di donne aristocratiche e dell’alta borghesia, nonostante l’adesione di un’ampia base femminile.
In tale contesto spicca la figura di Cristina Trivulzio di Belgioioso, donna molto intelligente, bella e affascinante che richiamò le attenzioni di molti intellettuali contemporanei, non senza contrasti di varia natura.
A Marsiglia, conosciuto l’ideale mazziniano, Cristina di Belgiosioso divenne coordinatrice dei cospiratori che nel ’31 tentarono la sfortunata spedizione in Savoia, da lei finanziata, volta a promuovere la Rivoluzione in Piemonte, che doveva essere contemporanea a quella negli Stati Pontifici con l’insurrezione di Rimini. Fu ancora lei, in questa circostanza, a perorare la causa dei prigionieri italiani con il generale La Fayette.
Aprì la sua casa ai profughi italiani e, alla confisca dei suoi beni da parte dell’Austria, iniziò a lavorare dipingendo e poi scrivendo articoli. Sovvenzionata poi dalla famiglia, continuò ad aiutare esuli e fuoriusciti. Trasferitasi a Parigi, intensificò il suo lavoro letterale, pubblicò saggi, tra i quali il “Saggio sulla formazione del dogma cattolico” che meritò gli elogi di intellettuali del suo tempo tra cui Toqueville e, più tardi, ripresa l’attività politica e giornalistica in Italia, compì uno studio “Sulle condizioni delle donne italiane e sul loro avvenire”. Scrisse su Vico e ne tradusse in francese la “Scienza Nuova” . Divenne proprietaria di un giornale “la Gazzetta Italiana “ dove condusse una vivace campagna politica che continuò in Italia sulla rivista “Ausonio”. Mentre era a Napoli, dove pubblicava “Il Nazionale”, si verificò l’insurrezione di Milano e, alla sua partenza per questa città, si unirono a lei centosessanta volontari napoletani, nell’attesa che, ancora da Napoli, fossero pronte a partire altre quattro legioni. Dopo le 5 giornate di Milano iniziò la pubblicazione de “il Crociato”. Più tardi, dopo l’unità di Italia, si adoperò inoltre per la concessione al Papa del potere temporale e per la riconciliazione tra Stato e Chiesa.
A mio modesto avviso però, è la sua attività organizzativa, operativa e infermieristica che merita un attento approfondimento.
La sua partecipazione al processo assistenziale infermieristico avvenne nel 1849 quando, nel febbraio dello stesso anno, dopo un periodo di attività a Parigi, la Belgiojoso giunse a Roma nel pieno della guerra: è fuori discussione che in lei prevaleva il valore della lotta per l’indipendenza “…pronta ad agire, consigliare, a proteggere, ad aiutare… ovunque ogni moto di ribellione risvegli la coscienza italiana”: il senso della guerra di Cristina Belgioioso era quindi legato ai principi di libertà e di rifiuto di ogni ingerenza straniera.
Tuttavia, con l’avvento delle Repubblica Romana del 1849 (Mazzini, Saffi, Armellini), il governo provvisorio, democratico e sociale, ad opera di Carlo Armellini “aveva emanato provvedimenti per l’igiene, trascuratissima dal governo papale, per l’incremento delle arti sanitarie…”[6] Mazzini, che in un primo tempo fu in contrasto (per ragioni politiche) con la Belgioioso, successivamente ne riconobbe il valore. Nel febbraio del 1849 venne infatti nominata Direttrice generale delle Ambulanze militari (ospedali militari) e durante i giorni dell’assedio fondò anche un Comitato di Soccorso per i feriti.
Con la collaborazione di Enrichetta Pisacane e di Giulia Bono Paolucci, componenti il Comitato Centrale, firmò un “invito di organizzazione alle donne astrette per l’assistenza dei feriti” (I° maggio 1849) al quale risposero circa seimila donne e di cui ne vennero impiegate solo un ridotto numero. Nello stesso documento[7] veniva elencata la nota dei Locali di Ambulanze e delle loro Direttrici, per un totale di nove ospedali.
Questa organizzazione a direzione esclusivamente femminile, così fuori dal comune nel tempo considerato, “sollevò critiche moralistiche da parte della corte pontificia esule a Gaeta e di tutti gli storici reazionari della Repubblica Romana”.[8]
Arruolò e istruì infermiere, “lei, la prima nella concezione delle crocerossine – realizza con un anticipo di quattro anni l’idea della Nightingale. Infaticabile, corre da un ospedale all’altro, protesta coi medici perché le pare che i “suoi feriti” non siano abbastanza curati, è vicina a tutti con un cuore immenso e si prodiga oltre i limiti del possibile” [9]. Questo che può apparire solo un enfatico elogio e far pensare a interventi di mero sostegno morale, trova invece conferma in un documento autografo (Rapporto presentato ai Triumviri della Repubblica Romana) datato 23 maggio 1849,[10] in cui, dopo aver lamentato gli abusi,le gravi carenze igieniche, le tecniche obsolete riscontrate “Negli ospedali più ricchi e più splendidi di Roma” dove l’assistenza è praticata solo da infermieri maleducati, rozzi, sudici e spesso ubriachi, sottolineava la ben diversa qualità dell’assistenza praticata dalle donne e da lei organizzata.
Nella medesima relazione chiede di ” sostituirvi un sistema bene regolato di assistenza, basato sui dati della scienza…” e propone l’istituzione di una “ Casa Centrale di assistenza, ossia una casa cui verrebbero ricoverate ed istruite delle donne pel servizio delli Ospedali. Queste donne delle quali si richiederebbe molta serietà di costumi e regolarità di vita quasi monastica, andrebbero istruite …”, cioè di una scuola per infermiere, indicandone anche la sede: Ospedale Militare dei Pellegrini, che “esisterebbe come un semenzaio di queste assistenti colle loro Direttrici e Maestre…”.

Giulia Calame Modena, tra ospedale e linea di fuoco

Altra donna emergente fu Giulia Calame Modena. Mazziniana convinta, nel 1848, a fianco del marito, si arruolò tra i combattenti della libertà e le venne offerta la direzione di un ospedale di feriti a Palmanova. Ma il senso della guerra partecipata delle Calame, nell’istante in cui la città fu intersecata dalla linea del fuoco, la indusse a lasciare il terreno dell’ospedale per quello del campo di battaglia dove venne ferita.
Giulia e Gustavo Modena, dopo alterne vicende nel 1849 entrano in Roma prima che questa città fosse cinta d’assedio e, mentre il marito, molto malato, dovette lasciare la città, Giulia restò a Roma “regolatrice dell’ospedale di Santo Spirito”[11]
In una lettera del 26 marzo Mazzini la descrisse dolcissima e infaticabile infermiera, che restò accanto ai feriti affidatile sino all’ultimo. La sua attività infermieristica terminò però qui, rendendo in tal modo più palese il suo prevalente impegno per la lotta di liberazione.
Esule poi in Svizzera, Bruxelles, Londra, continuò il suo lavoro politico accanto al marito.
Tuttavia l’esperienza repubblicana fallì miseramente all’ingresso dei francesi e, mentre negli ospedali giacevano feriti e moribondi, medici e infermieri furono allontanati. Solo la Belgiojoso e la Calame Modena restarono accanto a loro.
Alla caduta della città, il 3 luglio 1849, la Belgiojoso ebbe l’intuizione di affidare i feriti alla protezione dei Consoli di Inghilterra e degli Stati Uniti d’America, affinché fosse riconosciuta loro la figura giuridica di combattenti di un esercito regolare, per evitare altrimenti sanzioni e rappresaglie.[12]
E’ quindi evidente il fondamentale e diverso obiettivo di vita fra queste due infermiere italiane e la Nightingale, fornita a priori di una reale preparazione infermieristica da lei posta successivamente al servizio della guerra, perfezionata nel contesto della guerra stessa e in tempo di pace, senza soluzione di continuità. Ritengo però possa essere presa in considerazione l’ipotesi che la Belgiojoso, vista la sua ampia cultura e la sua permanenza all’estero, si fosse precedentemente documentata, forse attingendo notizie dall’opera di John Howard, di Elizabeth Frey e del Pastore Fliedner a Kaiserswerth: sia per dirigere e organizzare gli ospedali romani, sia per promuovere una reale formazione infermieristica.

Jessie White Mario, romantica garibaldina tra le camicie rosse

Il filo conduttore delle guerre di Indipendenza italiane, approdò poi agli sfortunati tentativi insurrezionali di Sapri, di Genova e di Livorno nel 1857, ma per trovare un’altra figura infermieristica di spicco, sebbene non ancora professionale, si giunse al 1860.
L’inglese Jessie White Meriton, dall’amicizia con Garibaldi prima e dalla conoscenza della politica di Mazzini poi, trasse lo spirito propulsivo per fare propria la causa italiana e sostenerla.
Fu al seguito di Mazzini che conobbe in Italia Alberto Mario con il quale condivise la lotta politica, nel 1857 il carcere e da lì, il resto della vita.
Attratti entrambi dall’avventura garibaldina, a Palermo, mentre Mario rivestì incarichi sul piano militare, Jessie White venne incaricata da Garibaldi di dirigere un ospedale per feriti. Di lei,con l’enfasi romantica tipica dell’epoca (del resto adottata in quel tempo anche per la Nightingale), si scrisse che fu un’infermiera presente “ovunque infierisca il dolore e si agiti la sofferenza delle carni straziate dalla mitraglia (…) sembra essersi moltiplicata e la sua opera di pietà non trova sosta. E’ presso ogni lettuccio, accorre nelle sale operatorie quando il ferro del chirurgo deve incidere e recidere, è l’angelo buono d’ogni ferito”.[13] Un giornalista garibaldino su “ L’unità italiana” del 9 settembre 1860, scrisse di lei “…Non ho mai veduto tanta intelligenza nelle cure, tanta carità nelle parole, nello sguardo, negli atti, tanta infaticabilità di spirito e di corpo…(quanto) in Jessie White Mario.
Con le Ambulanze (ovvero con gli ospedali da campo) seguì ancora Garibaldi in Calabria, tornò a Londra al termine della campagna del 1860, per rientrare con i garibaldini nel ’66 nel Trentino e nel ’67 fu nuovamente con Garibaldi nella Campagna che aveva per obiettivo finale Roma. Pur essendo ancora infermiera delle Legioni Garibaldine, dopo la battaglia di Monterotondo nell’ottobre del ’97, Garibaldi le affidò l’incarico di recarsi a Roma per trattare lo scambio dei prigionieri feriti con il generale Kanzler.
Dopo la liberazione d’Italia, Jessie seguì ancora Garibaldi in Francia a combattere i tedeschi, sempre quale infermiera delle Camice Rosse, e quello fu l’ultimo impegno sanitario al servizio della collettività. Jessie White Mario, scrittrice e più tardi insegnante di lettere a Firenze, si interessò in particolare di problemi sociali. Infatti scrisse anche su “ La miseria di Napoli” e su “La schiavitù e la guerra civile negli Stati Uniti d’America”.
Il senso della guerra di Jessie White Mario, esclusivamente indipendentista, per la libertà e l’unità del paese, continuò ad essere espresso fino alla fine nel suo lavoro intellettuale, politico e sociale. Pure in questo caso, l’assistenza infermieristica, come per la Belgioioso e la Modena, costituì soltanto una parentesi più o meno ampia che non ebbe continuità professionale e che pur tuttavia, come per la Nightingale, aveva rivestito una grande importanza nello scenario di guerra.

La nazione armata della Nightingale e le guerra di liberazione delle italiane

La partecipazione all’impegno politico di Cristina Trivulzio di Belgioioso, Giulia Calame Modena e Jessie White Mario, sono evidenti. L’ideale e i valori in cui credettero, pagando spesso, anche duramente, di persona, cercarono di tradurlo nella prassi con costanza e sacrificio.
Se è pur vero che il loro impegno infermieristico sui campi di battaglia e negli ospedali, per i militari e non solo, costituì una parentesi della loro vita, l’etica della polis non le abbandonò in alcun istante, neppure al di là dei confini italiani.
E’ da rilevare altresì che, negli scenari di guerra, emerge un’altra differenza sostanziale tra la Nightingale e le italiane, costituita dal fatto che la prima fu incaricata e sostenuta ufficialmente da un governo stabile nazionale, al servizio di una nazione armata, mentre le seconde, sebbene all’interno di un governo legittimo, di fatto furono al servizio di volontari, di bande armate partigiane,[14] come avverrà più tardi nel contesto della guerra di liberazione degli anni Quaranta del Nocevento.
E, soprattutto, è da porre in evidenza il fatto che: “provvedimenti per l’igiene e per l’incremento delle arti sanitarie”, promossi dal Governo repubblicano del1849 e la stessa opera organizzativa ed assistenziale infermieristica della Belgioioso, nonché il suo progetto formativo ”professionale”, furono interrotti proprio con la caduta della Repubblica Romana. Tale evento bloccò così sul nascere, un sicuro e precoce processo riformatore, che per troppi decenni ancora, permise l’immobilità e favorì l’arretratezza della formazione infermieristica nel nostro paese.
Le donne prestate all’assistenza infermieristica durante il Risorgimento italiano, in misura diversa, sono state indubbiamente agenti di socializzazione e di emancipazione femminile, promotrici e partecipi delle trasformazioni politiche e sociali del Paese, ponendosi quindi al servizio della collettività.
Manca ancora la valutazione sanitaria e assistenziale o, per lo meno, non ne sono a conoscenza, delle prestazioni infermieristiche occorse nelle disfatte di Custoza e Lissa subite dall’esercito sabaudo (1866). Proprio per una considerazione della realtà sanitaria del periodo, in cui le malattie infettive e da carenze alimentari mietevano vittime anche sui campi di battaglia, superiori spesso a quelle dovute alle armi, sarebbe interessante confrontare il bilancio relativo alla spesa per gli armamenti con quello per la sanità, se esisteva.
Soprattutto, sarebbe importante una ricerca relativa all’impatto della guerra sul territorio dei vinti e dei vincitori: braccia tolte all’agricoltura, profughi, orfani, gente senza casa e, non per ultimo, diffusione di malattie. Tra gli antichi flagelli: tubercolosi, pellagra e malaria, con crescente sviluppo della prima. La tubercolosi continuò, infatti, ad avanzare ancora per molti anni, mietendo vittime in particolare tra i più giovani.
Più ancora che per le conquiste della medicina, il graduale miglioramento delle condizioni abitative, del lavoro e dell’alimentazione, grazie soprattutto alle lotte dei lavoratori e ad alcuni igienisti illuminati, produssero un miglioramento delle condizioni generali di salute, anche se proprio la tubercolosi, assieme al progresso industriale, “tende a farsi fattore di unificazione morbosa del paese”[15].

[1] G; B; Guerri Fascisti , Mondadori, MI, 1995.
[2] A. Robert, Traité des Manoeuvres d’Ambulance et de connoissances militaires pratiques. A l’usage des Medicins de l’Armée active, de la Réserve et de l’Armée territoriale. Octave Doin, Ed. Paris, 1887.
[3] 14 laiche, 14 religiose protestanti, 10 suore cattoliche.
[4] Florence Nightingale, 1867 cit. da Susanna Agnelli, Florence Nightingale, in: Da Ippocrate al Buon Samaritano. Dolentium Hominum. Città del Vaticano, n° 31, 1996, pag,232.
[5] Cfr. Susanna Agnelli, Ivi, pag.233.
[6] La Repubblica Romana del 1849, Libreria Politica Moderna, Roma n.d. ma seconda metà decennio 1940. pag.57
[7] Archivio di Stato di Roma, Fondo Repubblica Romana, 1949, busta 89, foglio 219 già cit. da Luigi Del Trono, Una Nightingale Italiana, Cristina Trivulzio di Belgiojoso, in Bollettino d’Informazione della Consociazione Nazionale Infermiere Professionali e Assistenti Sanitarie Visitatrici, Roma, n° 5, 1961 pag.8.
[8] Ivi, pag.9.
[9] Pia Moretti. Donne repubblicane. Libreria Politica Moderna, Roma, 1945, pag, 53. La priorità della Belgioioso nella concezione formativa di quella che fu poi della Nightingale, è stata sottolineata da autori inglesi di cui tratto in un altro mio lavoro.
[10] Archivio di Stato Roma, Repubblica Romana, 1849. cit da: Luigi Del Trono, in: op. cit., pagg.8-10.
[11] Ivi,pag.61. Per l’assistenza ai feriti del Risorgimento, in Milano cfr. Mascotti, l’Istituto delle Sante Bartolomea Capitanio e Vincenza Gerosa, cit. da C. Sironi, Storia dell’assistenza infermieristica, NIS, pag.107.
[12] A.Malvezzi. La Principessa Cristina di Belgiojoso, Milano, 1937,cit. da L. Del Trono, cit.
[13] Pia Moretti, op.cit. pag.68
[14] cfr Alberto M. Banti e Marco Mondini, Guerra di popolo, Nazioni in armi, in ..Storia d’Italia, Annali 18, Einaudi, TO,
2002,pag.420—428.
[15] Giorgio Cosmacini, Storia della Medicina e della Sanità in Italia, Laterza, Bari, 1988 pag.420.