Turpiloqui abruzzesi: la fine di una giunta regionale.

Non ci sono parole se non brutte parole per dire di questa terra di centro. Questo posto che è un buco di culo del cazzo, il solito schifo italiano, xenofobo, fascista, cattolico fino alla puzza e molte altre cose di merda!

di Lorenzo Marvelli

Ieri in Abruzzo è successo di tutto: una fottuta giornata del cazzo!
Una giornata di polvere e sangue, una autentica fogna maleodorante fatta di morti e quaquaraquà, di guerre ed eroi, di porche Cayenna e morti di fame, di zingari e puttane…
Una fottuta giornata del cazzo, appunto. Non ci sono parole se non brutte parole per dire di questa terra di centro.

E pensare che questo era un bel posto per vivere. C’era il mare per fare il bagno anche se pieno di metalli pesanti e di merda pesante ma sempre mare era. E c’erano le montagne. Sempre più schifose per vie delle ville dei soliti magnaccia e quaquaraquà, per via delle strade e dei ponti: del cemento pesante come la merda, insomma. Ma sempre montagne erano.
E ieri invece.

Cazzo, mi sveglio al mattino e scarico la posta sul piccì poi faccio il solito giro sulle nius e becco questa notizia del cazzo che solo se la dici con brutte parole riesci a dirla tutta quanta. Tanto è grossa. Ecco: il presidente di questa regione della minchia, insieme all’assessore alla sanità, insieme ad un nutrito gruppo di quaquaraquà finisce in galera per averci fottuto una barca di piccioli. Nel senso che da una parte licenziavano infermieri precari dagli ospedali, chiudevano reparti, ritardavano i pagamenti, ricoprivano di letame la sanità d’Abruzzo in nome di ‘sto budget del cazzo e dall’altra, i signori, si fottevano circa 15 milioni di euro nel solito giro di tangenti con le cliniche private: “Cumpà…tu paghi e nu t’accuntendeme: nu poche di puste lette, nu poche di tac e risonanze e… piano piano c’aggiusteme, tutte ti pagheme. Non c’è problema, cumpà!”
Oddiosantissimo! Si da il caso che io sia un infermiere di 118 in quest’ospedale allo sfascio e mi sto facendo un culo incredibile con questi cazzo di straordinari che non posso rifiutare, “per il senso di responsabilità…” dicono in giro.
E mentre mi strafaccio di lavoro, questi compari, ci tirano sole da non credere e alla fine tentano la fuga con il porche Cayenna ed una valigetta con un pugno di dollari (anzi di euro che è lo stesso) prima di essere fregati dalla guardia di finanza che li traghetta dritto dritto in galera.Per le formalità.Almeno tre giorni di isolamento. Poi l’interrogatorio di garanzia. Tanto per iniziare.

Madonna che casino! Non ci sono parole se non brutte parole per dire di questa terra di centro. Cazzo.

Insomma, vado al lavoro e discuto con i colleghi: c’è chi ride, chi sta zitto, chi… “e mò guverneme nu per vent’anni!”, chi fa finta di nulla, chi non stacca gli occhi dalle edizioni speciali dei tiggì locali che c’inzuppano il pane.
D’improvviso una chiamata d’intervento urgente: incidente sul lavoro! Dieci minuti di corsa in ambulanza, in mezzo alla campagna, in mezzo a quelle montagne di merda piene di strade e ponti, in mezzo alle montagne di cemento e con la testa piena di pensieri d’arresti, tangenti, fallimenti, ospedali affollati. Fino all’arrivo. Morte sul lavoro. L’ennesima. Perchè questa terra del cazzo, quest’Abruzzo da vomito è leader nel campo: abbiamo più morti di lavoro noi che gli altri nell’Italia di oggi.
Pensa tu… Scendo dall’ambulanza e corro attraversando un campo coltivato, corro, corro, corro, corro, corro ché forse lo salvo se vado veloce. Cazzo!
Il contadino è infilato dentro un circuito di tubi di gomma, un irrigatore così grande da sembrare un mostro e c’è sangue dappertutto e persone che urlano, che corrono di qua e di là, che ci implorano d’intervenire.
Mi avvicino: il contadino è decollato. Sì, cazzo! Decapitato, dico! Non ha più la testa che il turbime di quei tubi del cazzo gli ha staccato ed infilato sotto l’ascella.

Oddiosanto. Quanto sangue. Ché non ci sono parole se non brutte parole per dire di questa terra di centro.
Ed allora vaffanculo all’ennesima morte di lavoro, all’ennesimo assessore in galera, vaffanculo a tutto e a tutti. Mi sento una merda. Voglio andarmene a casa ma non ho finito il turno. Torno in centrale operativa davanti ai tiggì che non smettono di darci dettagli sugli assessori ququaraquà. Ho nei pensieri il contadino decollato, il suo sangue. E le manette e il carcere e le montagne di cemento ed il mare che puzza di merda ed i razzisti che prendono le impronte digitali ai bambini ed i morti in guerra e tutto lo schifo di quest’impero del cazzo che ha fatto della mia regione un posto di merda per viverci.

Altra chiamata al 118: uno sgombero. Sì, insomma un fottuto sfratto del cazzo. In affiancamento agli eserciti della città. Armati fino ai denti. Incazzati fino ai denti. Isterici fino ai denti per via della sentenza appena uscita sui fatti di Genova, nella caserma di Bolzaneto dove questi poliziotti-fino-ai-denti torturarono un gruppo di ragazzi innocenti.
“Porca puttana, a gennaio tutto sarà prescritto… perchè s’incazzano? Siamo noi a doverci incazzare! O no?”
L’ambulanza intanto corre da pazzi in mezzo al traffico: uno sfratto, in questo posto del cazzo, è una cazzo di emergenza… ma và?

Arrivo in periferia. Case popolari. Brutte case. Ché non ci sono parole se non brutte parole per dire di queste case così fatiscenti e piene di munnezza. Allora lo dico: “Case del cazzo!” Entro in un appartamento del cazzo: è vuoto. E’ sporco ma vuoto.
Un sacco di polizia e vigili urbani e poi noi del 118, in affiancamento.
All’angolo di quella che dovrebbe essere una cucina, c’è una donna incinta. Forse zingara. Forse.
La donna è seduta su una valigia e ci guarda in faccia, uno alla volta e dice: “Non me ne vado da qui, non ci dormo più dentro la macchina, ho diritto ad una casa, cazzo! E questa è una casa. Ed è vuota cazzo! Non c’è nessuno, cazzo! Non mi toccate, cazzo!” E chi la tocca… “E’ pure incinta: e se si butta a terra? E se perde il bambino?”, l’esercito in coro.
Epilogo: l’esercito se la batte in ritirata e la zingara incinta resta seduta sulla sua valigia. Ho vinto la battaglia e per questo, prima di uscire, mi volto e le sorrido appena, le strizzo anche l’occhio come a dirle: “Cazzo, sei una tosta!” e lei non risponde al sorriso, anzi gira la testa dall’altra parte perchè anch’io sono l’esercito anche se non ho armi del cazzo appese al cinturone, anche se il cinturone non ce l’ho.

Quest’impero schifoso che ci uccide ogni giorno in questo posto di merda, che sanguina, che va in galera, che non ci sono parole se non brutte parole per raccontarlo, questo cazzo d’impero oggi, dopo averci uccisi tutti centinaia di volte, finalmente ha perso la battaglia ed è costretto a ritirare i suoi eserciti ed a lasciare il campo ad una zingara incinta che è una potenza di donna, di madre, di vita, di speranza, di futuro, di rivoluzione.

Lorenzo Marvelli
www.teatrioffesi.org