Explore the future

Di Mariano De Mattia e Simona Minucci

E’ più giusto placare od alimentare il sentimento della rabbia, l’obiettivo di questo post non è dare un giudizio. Importante è invece mettere a confronto, perché tra esse si integrano, le due visioni degli autori. La prima di uomo maturo che vede nella rabbia un modo per lavorare su se stessi, la seconda di giovane donna che la interpreta come forza trainante per il cambiamento. 

L’attenta, saggia e profonda osservazione di un fenomeno, viste le molteplici facce di cui si compone, ne svela l’intima somiglianza col cristallo. Solo la consapevolezza di questa moltitudine e la disponibilità ad una visione prospettica ne possono consentire la comprensione globale. La rabbia è un fenomeno che non rappresenta un’eccezione a questa regola!
L’ultranovantenne Tich Nath Han, monaco buddista di origine vietnamita e maestro di vita, nel suo “spegni il fuoco della Rabbia”, descrive le articolate trame di questo sentimento con una meravigliosa metafora botanica. Egli ritiene che ciascun essere vivente rechi in sé un ampio giardino il cui terreno è riccamente assortito di semi (tra cui anche quelli della rabbia) dai quali germogliano esperienze e stati d’animo. A fare la differenza, in termini di prevalenza degli uni sugli altri, è la quantità di volte che annaffiamo questi semi. Cosicché in noi prevale la specie che maggiormente nutriamo, attraverso le nostre scelte quotidiane; cibo, pensieri, parole ed azioni ne sono esempi. Ne consegue che possiamo scegliere, mediante un lungo e meticoloso lavoro analitico, che “giardino” vogliamo essere.
La rabbia, spesso, ci spinge ad allontanare chi o cosa ci ha suscitato un sentimento del genere. In quest’attitudine ci sfugge un prezioso particolare; le persone che ci fanno arrabbiare sono quelle che in qualche modo e per qualche motivo, proprio mediante il loro agito, ci obbligano a fare i conti con noi stessi. Queste persone e questi fatti, “costringendoci” a guardare e toccare le antiche ferite, ci offrono la consapevolezza di quanto “passato”, erroneamente ritenuto affrontato e risolto, è ancora lì vivo e vegeto tra le braccia del presente. Questi fatti e queste persone ci sussurrano una piccola verità, sotto il tappeto c’è ancora tanta parte di noi con la quale riconciliarci.
La rabbia, proprio come un tappeto, occulta tutto ciò che copre ed è capace di farlo per un tempo lungo, rinnovandosi anche attraverso le generazioni e la storia. Cosicché, spinti dagli eventi della vita, quando ne solleviamo un lembo ritroviamo intatto tutto ciò che ci avevamo lasciato sotto. Paradossalmente anche l’amore e la passione, per qualcuno/a o qualcosa, che presumevamo estinti possono r(i)esistere e tornare a scrivere nuove pagine di vita. Ci vuole solo una buona dose di forza, testa, cuore, altruismo e visione lungimirante per arrotolare quel tappeto e tirarlo su!
A tal proposito può sorprenderci la maestria di alcuni animali che siamo abituati ad ignorare, di cui ho apprezzato le doti insieme a mia figlia e mio figlio durante la prima quarantena. Con Siria e Massimo abbiamo scoperto che il gambero ha il cuore nella testa e questo gli garantisce un enorme vantaggio, di cui noi non godiamo, quando posto innanzi a quadri dilemmatici è costretto a scegliere se rispondere con la testa o col cuore. Il gambero, nella coincidenza topica di cuore e testa, non sbaglia mai e sceglie usando entrambe le parti.
Abbiamo scoperto che la femmina del polpo è un animale profondamente altruista. Con i tentacoli occlude completamente la sua tana, a protezione delle uova appena deposte, che non abbandona sino alla schiusura anche se questo ne decreta la morte per fame! Abbiamo scoperto che lo scarabeo rinoceronte ha il record di forza, giacché solleva 850 volte il suo peso! Il lombrico invece, chi l’avrebbe mai detto, possiede cinque paia di cuori, mentre la vongola possiede dai 50 ai 100 occhi tutti disposti sul perimetro della conchiglia.
Alla luce di queste doti straordinarie, abbandonare il nostro delirio di supremazia sulla natura e tornare a considerarla il grembo che ci ha partorito ci aiuterebbe a comprendere ed affrontare anche il fenomeno della rabbia.
James Hillman, nel “codice dell’anima”, restituisce alla natura il suo ruolo magistrale: “Credete davvero che l’uomo abbia inventato la ruota tutto da solo, tirandola fuori dal suo cervellone, e così il fuoco, le ceste intrecciate, gli utensili? Le pietre rotolavano lungo i pendii; saette di fuoco squarciavano il cielo ed erompevano dalla terra; gli uccelli tessevano, pescavano, macinavano, e così pure le scimmie e gli elefanti. È stata la natura a insegnarci le scienze per dominare la natura”.
In una sorta di preghiera laica, potremmo chiedere allo spirito di questa natura animale l’aiuto necessario per comprendere le trame del rancore e sciogliere i nodi della rabbia.
Riuscire in ciò significherebbe fare un dono a sé stessi ed al mondo intero, in quanto il rancore è una cataratta sull’anima che opacizza la visuale sullo spettro dei colori, mentre la rabbia ci rende miopi togliendoci la visione del futuro; l’unica prospettiva della speranza che vede lontano.

Eppure la rabbia toglie, tanto quanto lei stessa dà.
La rabbia non fa altro che pretendere indietro ciò che ci ha donato, come una donna che bussa alle porte, dopo aver donato tutto ciò che aveva da offrire. La rabbia è la canalizzazione delle energie avvenuta per reazione, in un gesto di rivalsa, di definizione del sé e di autoconservazione. È il grido del “no”, è la voglia di rinascita. È la speranza che l’umanità sopravviva.
Di fronte ai più efferati crimini della storia, la rabbia è stata salvezza, è stata la possibilità di rinascere senza arrendersi. Arrabbiato è il partigiano che scala la montagna, armato di un fucile vecchio e delle scarpe rotte, il cui ultimo pensiero è il suo paese e la sua mamma, e la sua amata Libertà. Arrabbiati siamo noi quando sentiamo quelle bambine – che non solo potrebbero essere nostre figlie o sorelle, potremmo essere noi – strappate ai loro giochi piangere sotto le lenzuola di un uomo che ha il triplo dei loro anni, ed è quella rabbia a portarci in Iran, in India, in Afghanistan a portarle via dall’inferno. È dalla rabbia che nasce l’informazione sugli efferati crimini di guerra del secondo conflitto mondiale, non solo quelle della Wehrmacht, ma anche quelle dell’esercito imperiale giapponese contro le bambine delle nazioni loro sottoposte. È la rabbia che ci fa scattare in piedi quando l’umanità perde umanità, quando i principi si stravolgono per far spazio agli istinti e le avidità più disgustose che si possano ad oggi concepire. È la rabbia che genera giustizia.
La rabbia genera inoltre la vita, poiché nasciamo e per prima cosa compiamo un gesto di rabbia: il pianto dato dall’essere strappati al calore e la protezione del ventre materno, lì dove nulla può farci del male, ed essere chiamati a camminare su questa Terra. E, di noi, chi mai direbbe di non comprendere quel gesto? Chi di noi non osserva la rabbia primordiale di ogni vita, quando lei fu genitrice – è con la rabbia che la madre si fa forza perché il figlio veda la luce – con un sorriso amaro, che questo mondo di amarezza ne ha tanta?
È rabbia la forza. È rabbia l’avanzata della lava del vulcano, il soffiare dei venti, l’inesorabile e ostinata danza del mare. Rabbia è il volo degli uccelli, è mamma orsa che protegge il cucciolo, è la linfa degli alberi che non cessa di passare in essi. È rabbia il fiume eracliteo, lì dove tutto scorre come in lei.
È la rabbia la prima a visitarci quando è stata tradita la nostra fiducia, quando il nostro cuore si spezza. È lei a metterci in piedi e darci dignità e forza di reagire contro qualcuno che ci ha fatto del male. È rabbia ciò che ci culla fra le sue braccia irrequiete e ci porta a rivendicare noi stessi su noi stessi e sugli altri, “la forza di prendere in mano le nostre vite e trascinarle in salvo”.
Se non ci fosse rabbia l’uomo non solo non esisterebbe più, ma non sarebbe mai esistito, Senza rabbia non avremmo mai avuto il soffio vitale che ci porta ad esser qui e adesso. Rabbia è devastazione, e la devastazione crea un mondo difficile, ma nutre la creatività e dà alla luce nuovi inizi.
Siate dunque arrabbiati, vi dico, non in una cieca follia devastatrice, ma nella rabbia senza la quale, oggi, né voi né null’altro esisterebbe.

Gli autori:
Mariano De Mattia infermiere dell’Ospedale Civile di Brescia con il vizio imperituro di scrivere
Simona Minucci studentessa in Scienze della Comunicazione presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli