Infermieri, da soggetti non pensanti a soggetti consapevoli

Ada Masucci

Per gli infermieri liberarsi del “complesso del colonizzato” significa promuovere un processo di cambiamento interiore che implica fatica fisica, ma anche spirituali, la rivista Savar è una sfida per chi vuole provarci e mettersi in movimento.

Provo ad esprimere quello che provo in cuore sul significato di “nursing in movimento”;
Mi sono detta proviamo a chiarire cosa vuol dire, prima di tutto, “movimento”. Per me movimento è tutta quella galassia di soggetti singoli o associati che vive una situazione di disagio, malessere sociale, esistenziale e in qualche modo vuole esprimerlo, vuole essere ascoltato, vuole farsi sentire, vuole “esistere” o quanto meno dare un senso (è forse ambizioso?) all’esistenza che non è solo le vacanze in Sardegna a fare vip watching (come diceva Michele Serra in un suo scritto su La Repubblica) o apparire in TV.

Forse questa cosa l’ho pensata perché ho un’esperienza alle spalle, anche se limitata nel tempo e per di più in provincia, di movimento femminista; in fondo quello che chiedevamo allora noi donne erano cose che in parte sarebbero ancora valide oggi per le donne, e lo sono per tutti quei soggetti “meno protetti” come gli immigrati, gli anziani, i giovani senza lavoro o con un lavoro precario, le persone che il lavoro ce l’hanno, ma sono obbligate a lavorare in condizioni quasi disumane, quelli che un lavoro ce l’avevano e dopo 30 sono stati messi a casa senza stipendio e non hanno ancora l’età per la pensione, le persone che si trovano in carcere in condizioni deplorevoli, e l’elenco potrebbe continuare a lungo.

Chiedevamo di non essere schiacciate nel ruolo di madre-moglie-sorella che vedeva la donna esistere sempre in funzione di un uomo, chiedevamo nuovi spazi per incontrarci e discutere, chiedevamo un maggior rispetto della nostra dignità; tutto questo si è tradotto poi anche in riconoscimenti legislativi. Oggi purtroppo non c’è né un contesto economico, né un contesto politico favorevole per chiedere più democrazia dal basso, ma non per questo bisogna demordere.

Rendersi conto che attorno a noi c’è tutto questo è già un passo avanti notevole e quindi vedo in modo positivo l’iniziativa di una rivista professionale che dia spazio a tematiche come la difesa dei diritti, che si schieri per una maggiore equità sociale, rimanendo prevalentemente (o quasi) nell’ambito della salute e della sanità. Anni fa leggendo la biografia di un’infermiera americana Lavinia Dock mi aveva colpito un episodio: invitata durante un convegno per infermiere a parlare senza aver preparato nessun intervento, si disse “parlerò loro del diritto di voto alle donne”; eravamo all’inizio del Novecento. Sono convinta che sia utile offrire degli spunti di riflessione, gettare dei semi, in parte perché credo sia ancora diffuso tra gli infermieri un esercizio della professione secondo una visione caritatevole e non come servizio che è dovuto, perché l’altro ha diritto a riceverlo; in parte perché credo possa servire a crescere professionalmente sia per coloro che scriveranno sulla rivista, sia per quanti la leggeranno. E’ quindi un’opportunità per testimoniare l’esistenza di ingiustizie e mi piacerebbe tanto ci fossero anche nelle nostra professione colleghi del livello di un Giulio Maccacaro, di un Giovanni Berlinguer con i loro libri inchiesta su come le disparità e le ineguaglianze sociali influiscono sulla salute delle persone. Infermieri che nell’operatività quotidiana fanno sono sicura che ce ne sono, ma c’è poco la consuetudine di documentare, scrivere, raccontare, di fare “cultura professionale”. Per esempio un’indagine su come sono aumentati i ritmi di lavoro degli infermieri dal 1992 in poi, cioè dall’approvazione della prima riforma della riforma, è stata fatta? E quali conseguenze ha avuto questo sulla qualità dell’assistenza e sulla qualità della vita degli infermieri stessi?

Ma crescere implica fatica, non solo fisica, direi quasi spirituale; vuol dire per gli infermieri liberarsi del “complesso del colonizzato”, significa passare dalla condizione di “soggetti non pensanti” come siamo stati considerati per tanto tempo a soggetti “consapevoli”. Il cambiamento come sempre richiede un processo di maturazione interiore, la rivista Savar è una sfida per chi vuole provarci.